Ai parchi di divertimento siamo abituati, ché abbiamo vissuto la vera Rossilandia, una versione minore di Zemanlandia.
Ma è complesso, oggi, prevedere come sarà questa Castorilandia 2.0 e quanto divertimento porterà.
Certo, la scelta non ha grandissimo appeal. Ad iniziare la stagione 2020-21 sulla panchina della Salernitana siederà un allenatore che, da anni e con alterne fortune, lotta prevalentemente per la salvezza.
Esclusa la promozione in A col Carpi (direttore sportivo Giuntoli) e la finale playoff persa col Benevento, ci ricordano gli ottimisti.
In mezzo a queste due gemme, dall’ultima volta a Salerno (doppio esonero): esonero a Piacenza, salvezza e successivo esonero ad Ascoli, esonero a Varese, esonero a Reggio Calabria, esonero e retrocessione a Carpi, salvezza a Cesena, ancora retrocessione a Carpi, retrocessione a Trapani.
Ma il passato è passato, torniamo a Castorilandia 2.0, ed allo scenario presente.
Che risate, amare, ne ha già procurate.
È vero, i tempi sono particolari, la vecchia stagione è appena morta che già nasce la nuova.
Ma la querelle sulla conferenza stampa è storia a parte, rifulge di luce propria.
Il rinvio sine die, motivato da zelante aderenza alle norme sui contratti, è certamente giustificato.
Particolare non irrilevante, vuol dire che qualcuno in Società non conosceva le norme quando ha annunciato il nuovo allenatore, quando ha convocato la conferenza.
Paga qualcuno? Non ci risulta.
Ma del resto la gestione dei media ufficiali risulta da tempo particolarmente “fluida”, se è vero come è vero che la famigerata foto del fischietto è stata precipitosamente ritirata nella giornata di ieri dopo una breve comparsa su Facebook.
Per quanti non frequentassero abitualmente i social, parliamo della foto con Castori che portava al polso il fischietto per dirigere l’allenamento legato da un laccetto del Trapani calcio.
Un episodio di scarso rilievo in altre epoche, deflagrante nel tempo presente.
Da evidenziare sotto un duplice aspetto.
Il primo: la scarsa attenzione di un management ai simboli, che da queste parti contano tantissimo. Sciatteria, è sembrata. Eppure, nell’altrettanto famigerato comunicato che seguì i patti di Villa San Sebastiano, si rimarcava la “simbiosi con la città e la tifoseria”, si parlava di “orgoglio e fede”. Con quanta attenzione si coltivino tali sentimenti lo si può evidenziare anche nello store praticamente mai pervenuto delle “Cotoniere” (resiste eroicamente il punto vendita Piazza Caduti Civili di Guerra, oggetto a questo punto di rispetto ed attenzione), nelle bandierine da 10 euro vendute a commoventi tifosi (attendiamo la promessa restituzione con autografi dei calciatori).
Il secondo: la lente d’ingrandimento, il colino a maglie strette, la pignola attenzione verso ogni atto di questo management.
È la risposta, io credo, ad anni di parole spese male (qualcuno li ha definiti insulti) sui palloni, sui centimetri di altezza, ed a dichiarazioni troppo lunghe da elencare, ma comunque gelosamente conservate nella memoria dei tifosi ed in capienti hard disk.
Una spaccatura senza precedenti, in una piazza che per troppo amore ha voluto credere, in questi anni, a tanto, a troppo. Persino quando in epoca Lombardi ci parlarono dell’emissario etiope, persino a Joseph Cala.
Se la bacheca nuda (cit.) della Salernitana non è stata arricchita negli ultimi cinque anni vuol dire che c’è spazio.
Sufficiente ad ospitare questo Trofeo della Discordia, merito esclusivo di proprietà e management. Più grande del trofeo della Champions, fidatevi, ché far spazientire questa gente era impresa titanica.
“Lentamente muore”, come nella poesia della Medeiros, piace dire a qualcuno.
Leggenda. Errore. Mistificazione usata come vestito per coprire le pudenda di chi vorrebbe giustificare in tal modo la propria minoranza.
L’amore per la Salernitana è vivo, vegeto, ed in ottima salute. Ma vive, non per scelta propria, fuori dall’Arechi, lontano da questo apparato che U.S. Salernitana 1919 si chiama, ma altri segni di identificazione non indossa.
Chissà quanto capisce, di questo, Castori. O quanto gli importi.
Quel che è certo è che il primo calciatore sul quale ha chiesto informazioni, chiedendo di chi fosse il cartellino, si chiama Akpa Akpro.
Non gli ha potuto neanche stringere la mano, subitaneamente dirottato verso casa madre.
Illazione mia, avrà esclamato: «Porca vacca!».
Prima che si potesse parlare di disappunto, lo hanno portato al ristorante.
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