Per chi non avesse tanto genio di imparare il cirillico, è il nome dello Futbol’nyj Klub Šachtar Donec’k.
Più facile ancora? Shakhtar Donetsk, così lo conoscono tutti.
Che c’azzecca con il pensiero della notte di #SALRGI?
Io provo a scriverlo, poi vedete voi.
Dove gioca questa squadra, o meglio dovrebbe giocare, nel bacino del Donbass, è in corso una guerra.
Embed from Getty ImagesE quindi lo Shakhtar si allena lontano dalla sua gente, gioca a 700 km. da casa.
Embed from Getty ImagesFacile comprendere che identità, passione, partecipazione vanno a farsi benedire.
Ora, la guerra è cosa triste e drammatica.
La guerra non c’entra con noi. A Salerno si contesta soltanto e la cosa non è neppure sicura se i media nazionali non se ne curano, se anche localmente – fino a poco tempo fa – i riferimenti erano solo selettivi.
Eppure, di questa squadra che ha impattato oggi con la Reggina riconosciamo solo il NOME.
Il resto è cirillico.
Nei calciatori che non conosciamo, – parlo per me, almeno, quando ho visto Kupisz mi sono chiesto chi era, quando ho visto Belec mi pareva di vedere una vecchia partita del Benevento – in magliette che non abbiamo visto, in numeri di maglia confusamente e frettolosamente attribuiti.
Tutti particolari che, insieme a tanti altri, sono fondamenti sacri della religione di un tifoso.
E che il lavoro certosino degli ultimi cinque anni ha attenuato, trasformando un urlo in flebile lamento.
Eppure scrivo di Salernitana, eppure soffro. Perché insieme a tanti – vorrei dire tutti se non fosse per residue scorie delle quali presto dimenticheremo anche l’esistenza – il NOME lo riconosco.
Ed è un nome che richiede libertà.
Anche se, in questo momento, è come se la Salernitana giocasse a Padova.