In questa atmosfera da vigilia di coppa che in me – sicuramente in molti altri – non suscita alcun senso di attesa: ho voglia di ripercorrere il cammino iridato della Salernitana nel 2013-14. Partiamo da un presupposto – dato che volutamente ometterò lo 0-3 subito dal Teramo per somma pietà nei confronti di Sanderra – questo ricordo non c’entra nulla con la Coppa Italia dei grandi. Approfitto infatti di questa platea, con somma scostumatezza, per riportare in superficie quella Coppa Italia di Serie C (al tempo Lega Pro, ma non ho mai sopportato chiamarla così) conquistata nella primavera del 2014.
Avevo 23 anni e il fegato reggeva molto più di quanto non faccia oggigiorno.
Torna alla mente l’esordio contro il Messina, quell’ 1 – 1 (4-1 dcr) di una sera di inizio ottobre maturato, almeno inizialmente, durante i tempi regolamentari. Risultato consegnato agli archivi dal gol di Guazzo – siglato intorno al 67′ con una superba girata di sinistro – e dal pareggio di Costa Ferreira (calciatore accostato alla Salernitana un giorno si e un altro pure nelle successive sessioni di mercato) a pochi minuti dal termine con un inserimento che tagliò letteralmente in due la poco irreprensibile difesa granata. L’esito della sfida, dilatatasi in maniera sconsiderata per noi pisciajuoli (assidui tiratori di sciavichiello, cercatori d’oro per le spiagge che da Santa Teresa al Lido Mercatello congiungono) o impiegati al mercato ortofrutticolo, venne deciso ai calci di rigore. Rimembro ancora l’abbottonatissimo e contenuto disappunto – corredato da bestemmie che, per quanto meritevoli del Premio Strega, restano irripetibili – con cui accogliemmo la notizia che i penalties sarebbero stati calciati sotto una Curva Nord desolatamente vuota. Fatto sta che Guazzo, Gustavo e Montervino si rivelarono glaciali spiazzando amabilmente il numero uno peloritano, nel contempo Berardi si rivelò saracinesca (il colpo di reni fu leit-motiv della competizione) neutralizzando due dei tre rigori calciati dai siciliani, l’altro terminò nello spiazzale del Medusa e assistette, curioso, alla prima de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.
Altro giro altra corsa, si giunse così al mese di novembre. Salernitana – Catanzaro, dato l’orario e il giorno feriale, fu davvero per pochi intimi. Vincemmo 2 – 1 dopo i tempi supplementari. Il colpo di testa di Mounard – evento raro quanto la cometa di Halley – pareggiò i conti dopo il tap-in di Casini. Il risultato finale lo dobbiamo al gol di Ricci che, al minuto 106 (meno due = 104 ma questa è storia post-contemporanea), fece esplodere i 900 cuori dell’Arechi.
Il terzo turno, rappresentato dai mini-gironi, vide noi poveri orpelli di dettagliata sfravecatura affrontare in “non rapida successione” i ciociari e gli ischitani. Il 27 novembre 2013, era un mercoledì ed erano forse le 14:30 o le 15.00 (cambia davvero poco), affrontammo l’Ischia all’Arechi. Ricordo ancora le parole del capo-ultras quando i 18 – massimo 19 – tifosi della compagine isolana, destinando ai 700 dell’Arechi gesti che invitavano ad inoltrarsi in determinate pratiche “sessuanti “ (che qui non sto a specificare), guadagnarono i gradoni della Nord: “E chist chi c*zz so? Come so scustumat!” Il risultato sorrise a noi, grazie alla doppietta del cobra Ginestra che mise a tacere la boria degli isolani.
Il risultato ad occhiali raggiunto al Matusa di Frosinone – oggi Benito Stirpe – altro non fece che rafforzare la nostra supremazia, nel breve contesto del girone, a 7 giorni da Natale.
Due mesi di programmato riposo ci condussero alle semifinali contro il Grosseto, l’andata e il ritorno – ancora una volta per pochi intimi – consegnarono un rotondissimo 5 – 3 alle statistiche e alla storia del trofeo: in casa fu 3-2, segnato dalla realizzazione di Volpe e dal doppio rigore Mounard, Mendicino. Al ritorno fummo corsari in Maremma grazie alle reti di Montervino e Gustavo che ci consentirono l’onore di una doppia finale contro i brianzoli.
Occorre aprire un capitolo a parte per la doppia finale. Monza – Salernitana, anche questa destinata a pochi intimi, vide un’accoglienza non propriamente amichevole da parte dei brianzoli (chi c’era sa). Tornando al mero dato statistico vincemmo 0-1 grazie al gol di Ricci. Il ritorno si disputò all’Arechi il 16 aprile 2014. Vento tagliente e clima straordinariamente glaciale, la Salernitana sfoggiava una divisa granata a righe bianche strette che rievocava il fardello di una storia – prima del fischio iniziale – troppo pesante da indossare ma, visto il risultato finale, molto ben rappresentata. Il vantaggio iniziale dei lombardi, grazie al gol di De Cenco, venne ristabilito a tre minuti dal termine da un sinistro al volo di Alessandro Volpe che, a distanza di 7 anni, fatico a dimenticare e, sovente, mi abbandona alla convulsa marea dei brividi e delle lacrime. In conclusione – anche perché si è fatta una certa – la Salernitana sollevò al cielo il suo primo trofeo e noi, orgogliosi sostenitori di umili felicità, ci divertimmo per una notte intera. Sottolineando che determinate sensazioni (ed esperienze) del post-vittoria non posso affidarle a queste colonne nutro la consapevolezza che tutto ciò, vissuto in prima persona, manca. Maledettamente.
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