Al termine di ogni sessione di calciomercato, dietro la prima riflessione sul valore complessivo della rosa granata si nasconde sempre un quesito urticante e, allo stesso tempo, inquietante: la Società ed il management, ci sono o ci fanno?
Perché analizzare l’organico, immaginarlo nell’espressione della sua formazione tipo, confessare a sé stessi che tanto mediocre non è, prima di essere assalito dall’ indigesta sensazione che alcune lacune siano state disseminate qua e là per impedire alla squadra di tramutare le sue potenzialità tecniche in certezze di campo inattaccabili, è un’operazione inevitabilmente contraddittoria, assai molesta e foriera di rabbia impotente.
Ed allora provi, faticosamente, a trasformare l’avvilente consapevolezza in una perplessità che lasci almeno il beneficio del dubbio, analizzando con meticolosa tenacia i pregi e i difetti dell’intero roster. Alla fine del tuo freddo circuito analitico, ti accorgi che lo stupore scaturito da certe ‘incomprensibili’ omissioni tecniche, già abbondantemente avvertito negli anni precedenti, altro non è che uno step gestionale consolidato e ben rodato.
Qualcuno mi ha chiesto un parere sul mercato granata, io cercherò di riportarlo fedelmente in questa sorta di editoriale sfornato a giochi ormai fatti. Credo che la Salernitana affidata a Castori sia una compagine discretamente ricca di valori tecnici, ma anche consegnata all’allenatore colpevolmente (e consapevolmente) monca in alcuni ruoli e, quindi, non rifinita e intralciata nella sua potenziale recita da autentica protagonista.
Sarebbero bastati altri 3/4 elementi di spessore medio-alto, seguiti da altrettanti tagli, per far viaggiare i granata con la stessa ambiziosa andatura delle compagini più forti della categoria.
Ed invece questi mancati arrivi, che rappresentano l’ormai noto condimento mai aggiunto alle tante insipide minestre trangugiate malvolentieri nelle passate stagioni, potrebbero condannare Lombardi e compagni a quell’incostanza strutturale, di rendimento e di risultati, che spesso impedisce di tagliare il traguardo nella versione auspicata dalla tifoseria.
Perché si commette sempre lo stesso errore? Non credo si tratti di incompetenza, seppur, di fondo, ne riconosca molta all’interno delle costruzioni tecniche affidate, nell’ultimo quinquennio, all’inamovibile direttore sportivo Fabiani.
Più semplicemente, credo che alla base debba esserci solo un’immagine appena abbozzata di sogno, di quelle che insinuino la ‘speranzella’ e consentano al malessere generale di non traboccare fino all’ultima goccia.
Ovviamente, si parla di strategie meramente tecniche e impressioni di massa ad esse correlate. Perché, relativamente agli aspetti extra campo, la misura è già colma da tempo, le dighe e gli argini della pazienza popolare risultano ormai annientati dall’anaffettività che impregna il modus operandi dei patron capitolini e del fidato gestore tecnico.
Ritornando alla squadra, sostenere che sia scarsa rappresenta una pura eresia. Perché tanti sono i calciatori che possono recitare da protagonisti in questa categoria, alcuni di essi tranquillamente inseribili, in alcuni ruoli, nel gruppo ristretto dei migliori. Gyomber, Capezzi, Dziczek, Lombardi, Cicerelli, Tutino, Djuric, A. Anderson, Casasola, Kupisz, sono elementi che fanno sicuramente gola a più di una allenatore cadetto.
Ma è proprio partendo dalla suddetta intelaiatura di base, alla quale bisogna aggiungere un buon numero di onesti calciatori di categoria, che si finisce inevitabilmente inghiottiti dallo sconforto provocato da un’operazione di rifinitura ampiamente alla portata ma puntualmente disattesa.
Pertanto, il vero interrogativo é: perché la Salernitana non ha ingaggiato un portiere finalmente affidabile, un terzino sinistro di ruolo e di spessore, una mezzala di qualità e quantità e, infine, un’altra punta prolifica con caratteristiche differenti da quelle di Milan Djuric?
La risposta, che anche questa volta non sarà fornita da una società che ha fatto dell’incomunicabilità una delle sue peculiarità comportamentali, resterà sospesa nell’aria. Ma è la stessa, ormai radicata nell’anima e nella mente di larghissimi strati della tifoseria, che non allontana gli amanti dell’ippocampo dal desiderio di veder finalmente voltare pagina al tormentato romanzo in cui è imprigionata la loro adorata creatura calcistica.
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