L'Altro Calcio

La Forza dell’Unione

Tempo di lettura: 3 minuti
di Ciro Romano

Ogni riferimento a fatti o accadimenti che si auspica possano ispirare la Tifoseria Salernitana non è per nulla casuale

NENA | 99 Luftballons

 Di domenica mattina, ad agosto, c’è sempre qualcuno che corre lungo il fiume. 

È già giorno, il sole penetra i fori nella persiana quasi tutta abbassata: schizzi di luce macchiano le lenzuola stropicciate. Wolfang è sveglio e sta fissando la spalla scoperta di Helga, che sogna ancora: quasi nuda, bellissima, sorride nel sonno. 

La finestra dell’appartamento in Gartenstraße volge lo sguardo all’ansa boscosa della Dahme. Kopernik, testarda periferia est di Berlino. Quella mattina, è il 1961, lungo il fiume non corre nessuno: la radio avverte Wolfang della chiusura dei confini della capitale. 

Il valico di frontiera a Pankow non è distante, sulla Wollankstraße. Helga accompagna il suo uomo al punto di confine, adesso non sorride. Sarà l’ultima volta, non gli verrà più permesso farle visita. Wolfgang sa cosa sta per accadere: durante la mattinata torna al confine per portare ad Helga denaro in contanti, caffè e quant’altro scarseggi nella parte Est. 

Un cumulo di pietre separa per sempre la giovane coppia. 

Simbolo disumano della guerra fredda, il Muro di Berlino divise irrevocabilmente molto più che una città. Famiglie, amici, coppie di innamorati si trovarono d’improvviso a vivere da un parte e dall’altra di un confine protetto con le armi. Amicizie e grandi amori separati in un attimo da un ostacolo invalicabile. Coloro i quali capitano ad est subiscono il divieto di espatrio. Helga perde l’amore, con esso il sorriso che l’accompagnava nel sonno. 

La libertà è dall’altra parte di un muro. A due passi, irraggiungibile. 

Ma Kopernik è periferia testarda. Il muro ha diviso pure la locale squadra di calcio, l’Olympia 06 Oberschönweide: chi può, ripara verso occidente. Per quelli rimasti ad Est, la necessità è virtù: ci si ritrova nelle fabbriche, ci si organizza nel dopolavoro, dalle ceneri ecco sorgere l’1. FC Union Berlin. 

Col poco che c’è, si mette su una squadra e ci si iscrive al campionato nazionale. Siccome sei veramente una squadra se e solo se hai una tifoseria, ecco raccogliersi attorno all’Union il coacervo umano più disomogeneo possibile. Punk, skinhead, hippies: in quella curva si salda l’unione impossibile di culture che non condividevano nulla eppure tutto. Tutto ciò che non volevano essere. 

Come d’incanto, una squadra di calcio trasfigura in fenomeno di aggregazione tanto spontanea quanto indissolubile. La Casa del Tagliaboschi, stadio di casa, rimarrà la più misteriosa calamita del profondo sentimento di rivalsa della gente di Berlino rimasta ad Oriente del Muro. L’avrebbero definita Eisern Union, l’Unione di Ferro: al di là dell’origine operaia, quel sentimento non si piegò davanti a nulla. 

L’Euspiegel scriverà che non tutti i tifosi dell’Union erano nemici dello Stato, ma tutti i nemici dello Stato erano tifosi dell’Union. 

Nonostante i risultati scarsissimi, o forse proprio grazie ad essi, quella tifoseria rappresenterà se non l’unica, la più efficace spina nel fianco del claustrofobico regime della DDR. Ed in occasione del derby, quanti più gol segnava l’odiosissima Dynamo, squadrone di Erik Mielke e della Stasi, tanto più si levavano alti, dalla curva di Kopernik, quegli slogan che lì, solo lì intere generazioni di oppressi trovarono il coraggio di scandire a voce alta, a cielo aperto. 

Fu lì, in quel sobborgo di Berlino, sugli spalti della Casa del Tagliaboschi, che per la prima volta si sentirono pronunciare le parole che avrebbero travolto l’intero Blocco Sovietico. 

Non per una prodezza, una rovesciata, un gol: macchè. Gli Schlosserjungs non aspettavano altro che un calcio di punizione. Dal limite, magari, o magari no: purchè la squadra della Stasi piazzasse la barriera. Che in tedesco si dice Mauer. Che poi significa muro. Affinchè la gente di Berlino Est potesse gridare in faccia agli oppressori 

Die Mauer muss weg!!!
Il muro deve cadere.

Non un partito politico. Non un esercito. La curva di una sgangherata squadra di periferia trovò il coraggio di dire a voce alta quel che il mondo non osava sussurrare. 

Prima della caduta del muro, nessuno a Berlino Est lo aveva visto. Il muro si trovava dall’altra parte, ad Est non si aveva alcuna idea di come fosse fatto. C’era sì un muro, ma più sottile e più basso, al massimo due metri. Solo quando il muro è caduto, pietra dopo pietra, la gente di Berlino Est ha visto come era fatto davvero. 

La prima pietra di quel Muro è stata tirata giù dall’Eisern Union. Quando, sotto di otto goal, l’Union Berlino si accinse a calciare una inutile, decisiva punizione. Quel giorno, in quella curva, quei tifosi tirarono giù la prima pietra del Muro della Vergogna. 

Non fosse venuta giù quella pietra lì chissà, tutte le altre sarebbero ancora a dividere i nipoti di Wolfang ed Helsa. 

Che di domenica mattina, tra lenzuola stropicciate, sorridono pure dopo il risveglio. 

Ciro Romano – editorialista per “Le bombe di Vlad”

Redazione

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