di Stefano Ferrio*
Solo Salerno, certo. E solo Vicenza, anche. Così come solo Bologna, solo Verona, solo Lecce, solo Catanzaro, solo Ipswich Town volendo, o solo Lens, Norimberga, Rosario, Odense, Hayduk Spalato, Atletico 3 de Febrero Ciudad del Este, Paok Salonnico, Boavista Porto, Canberra, poi ognuno aggiunge chi gli pare e piace. Torres, why not? Avrete notato che tipo di squadre sono state escluse da questa lista, ma uno è libero di metterle nella sua. E’ il “pandemico” virus a spingerci a pensarla così, fuori da ogni retorica dei buoni sentimenti, e semplicemente avvinti alla realtà dei fatti.
Sono i numeri, i grafici e le sirene delle ambulanze a farci asserire quanto questo “solo noi”, così potenzialmente illimitato, e certamente coloratissimo, sia l’unica cosa che conta, “alla vigilia”. E non è poi così essenziale aggiungere “di Vicenza-Salernitana”, martedì 20 ottobre stadio Menti ore 21, match valido per il campionato italiano di Serie B. Perché fra gli iceberg di Tromso, nei parchi gioco di Winterthur o dove il Danubio culla le malinconie di Ratisbona, rintoccano gli echi gravi e rarefatti di una medesima musica.
Quanto risalta su tutto è infatti la Vigilia, ovvero vivere, anzi, condividere, a Salerno e a Vicenza, i tre giorni, i due giorni, i venticinque secondi prima di una partita, che significa altri novanta minuti più recupero di un esistere di volta in volta materializzatosi nel magone di perdere, nell’accidia di pareggiare e nell’incredulità di vincere. Sapendo che, di questi tempi, qualsiasi accorciarsi delle frazioni di tempo precedenti il fischio d’inizio non garantisce il trillo di quest’ultimo, lo spostamento d’aria provocato dal primo lancio lungo, il flettersi disciplinato di una linea difensiva, le simulate incursioni di prime e seconde punte. Sulla carta, qualsiasi istante è infatti buono per la comparsa del dispaccio d’altri tempi che obbliga a slacciare le scarpette chiodate, a riporre le bandiere, a cancellare l’evento dalle schedine dei sogni.
Solo Salerno, solo Vicenza. Dopodiché, perdonate la licenza ma di meglio proprio non sgorga, “chissenefotte”, perlomeno adesso che ancora non si gioca, del risultato finale, delle diagonali precariamente applicate, delle vane supremazie accampate in conferenza stampa, delle sedute di allenamento differenziate e degli ultrasuoni cui sottoporre impiccianti contratture muscolari. La stasi, la bolla, le angosce e le attese sono tali e tante da farci addirittura sperare che solo Salerno e solo Vicenza, ma anche solo Rennes e solo Entella, prolunghino il loro senso quando avremo deposto per sempre le mascherine, e ricominciato ad accendere la Tv in cerca di una qualche quarta puntata al sapore di vita o di morte, piuttosto che di rancorosi virologi. Lechia Danzica, why not?
Magari sapremo dircelo vicendevolmente, se un nuovo “mood” affiorerà, e dove e come, in occasioni per il momento lontane e assolutamente imperscrutabili, mentre ora si profilano caso mai vibrazioni sottratte al loro consueto declinare nel subliminale.
A Vicenza, per esempio, è stato appena accolto proprio Lamin Jallow, l’attaccante gambiano che con la curva della Salernitana ha avuto trascorsi ardui, dovuti a un gestaccio scappatogli quasi un anno fa, al termine di quella casalinga partita con il Crotone. costellata di insulti rivolti a lui e alla sua famiglia da un imprecisabile “tifoso granata”.
Viene da interrogarsi su quanto questa cessione possa impattare con il “castorismo”, ovvero quella visione del calcio e della vita di cui si permea tutto quanto attiene a una squadra, dal fumo delle docce agli spioncini delle biglietterie, una volta che entra in contatto con l’attuale nocchiero della Salernitana, Fabrizio Castori, 66 anni, di cui 40 trascorsi sulle panchine dei campi da calcio, dalla Belfortese allo stadio Arechi, passando per le più varie piazze, compresa quella di Carpi, inopinatamente condotta fino alla Serie A nell’anno 2015.
Calcio “nientista”, il suo, abbarbicato a marcature decisioniste e refoli di vento tenacemente inseguiti in area piccola, piuttosto che a filodrammatiche rivisitazioni di un credo olandese, o a cestistiche transizioni declinate in ostinate ripartenze a cui ricorrere di fronte ad avversari più tecnicamente dotati? Anche fosse, sarebbe meritevole di essere disdegnato alla vigilia di un evento che la lettura fra le righe di un decreto ministeriale può sopraffare in un frullare di bit? Ecco perché viva Castori e il suo accanito “nientismo” che in realtà tutto può, salvo ovviamente convertire in grappoli di esultanze la schubertiana possanza di un Alessio Cerci appena riciclatosi ad Arezzo vantando nel proprio, personale pedigree la Bellezza scelleratissima di un solo gol segnato in ventinove partite giocate con la maglia del Milan, altro che Egidio Calloni e Luther Blissett, a lui ingiustamente preferiti dalla “vulgata” come affossatori di qualsiasi sembianza di sogno rossonero.
Solo Salerno anche in questo caso, come vent’anni orsono poteva essere solo Vicenza, il transito ininfluente, ma anche nefasto, di un Cerci d’altri tempi quale fu Marco Negri: quell’attaccante che strabiliava platee non solo in virtù di gol segnati a caterve con la maglia dei Rangers di Glasgow, ma anche per l’infortunio al bulbo oculare centrato da una pallina giocando a squash con il compagno di squadra Sergio Porrini. Il 18 aprile 1999, a San Siro contro l’Inter, un Negri mai riavutosi del tutto da quel trauma, batte talmente male un rigore paratogli da Pagliuca, da indirizzare verso l’1-1 finale una partita dominata dai biancorossi, oltre a procurarsi uno stiramento alla schiena tale da fargli saltare la successiva partita che il Vicenza perde al Menti contro il Milan, sprofondando senza scampo nel baratro della retrocessione in Serie B.
Solo Salerno, solo Vicenza. Ma anche “Piazze”, oltre che stadi. Quella dei Guerreros de Acapulco, why not?
Anfiteatri resi così belli da sciami vorticanti e luminescenti di provinciali Memorie che nessuna estenuante Vigilia potrà esaurire il suo corso, fosse anche nel futuro più lontano, senza lasciare di nuovo il passo, anzi “il campo”, al calcio come noi lo viviamo. “In presenza” delle nostre lacrime.
*Scrittore e giornalista vicentino, anzi "biancorosso", autore del romanzo "La partita" (Feltrinelli, 2011).