Facciamo un esperimento. Chiudete gli occhi, intanto io sussurro qualcosa di esotico, ci siete? NO!
Come no?
Ah, eh. Giusto. Che sussurro a fa? Quella l’opzione messaggio vocale su SoloSalerno.it non esiste, tenete ragione. Devo chiedere all’editore se si può fare qualcosa. Comunque vabbè, per fare questa cosa fino a mo’ già c’emm magnat un centinaio di battute. Buono.
Quindi, ricominciamo, tenete gli occhi aperti e leggete qua: JUAN MANUEL AROSTEGUI.
Questo nome vi suggerisce qualcosa? Sessione invernale del calciomercato? Rok Štraus, Morete, Bardeggia e il centravanti col nome della marca di biscotti (quelli che se li azzuppi nel latte per un millisecondo si spapocchiano irrimediabilmente e ti inguaiano la matinata)?
Anno domini 2007, nella fattispecie – essendo figli di Febbre a 90’ – parleremo di stagione 2006-07, la Salernitana di Lombardi covava un progetto molto ambizioso – quant’è vera la Maronna di sicuro affidamento – per tornare in cadetteria. Lo slogan pareva uno di quelli utilizzati da Salvini durante le sue continue (e per continue intendo martellanti per le nostre gonadi) campagne elettorali: la Salernitana ai salernitani.
Il girone B della Serie C, quanta poesia: Cavese, Foggia, Manfredonia, San Marino, Avellino, Ravenna, Teramo, Ternana, Giulianova.
Tutto davvero molto bello, la partenza poi.. Promettentissima! 2 a 0 al Martina con le firme di Mattioli e Ferraro.
La seconda giornata andò in scena su campo internazionale, all’estero. Alle falde del Titano la Salernitana uscì con le ossa fracassate: 4 a 0 per il San Marino. In seguito furono giusto 4 i palloni raccolti in novembre nella tana dei pieco.. Ops, lupi! Piccolo lapsus.
Un intero girone d’andata, comunque, costituito da un feroce amletico dubbio – :”Stamm nguaiat overament o a pazzij?” – terminò con la sesta posizione.
La fiera dei sogni, puntuale, prese il via mentre ai piedi del Castello Arechi c’era aria di tempesta (aiutami a dicere). Nello spogliatoio granata, composto per lo più da materiali di risulta edile, c’era bisogno di nuovi eroi e di un nuovo borgomastro. Via il salernitano Novelli, dentro il sergente di ferro Bellotto. Il risultato? Meglio che non ne parliamo, sempre peggio.
La finestra di gennaio, comunque, si spalancò ad uno degli innesti più folkloristici degli ultimi 101 anni (ma che dico 101, almeno 1001): Juan Manuel Arostegui.
Si sa, siamo la città cara a quel cabezon che – col nome di colui che resuscitò nostro Signore (Lazzaro ma inutile specificarlo, tanto lo sanno pure le prete nderra) – gettò nello sconforto 60mila partenopei il 27 gennaio 2002, pertanto gli argentini sono sempre merce gradita.
Aggiungete pure che la presentazione (di cui purtroppo non ho trovato alcuna foto) vide il Nostro indossare un maglioncino a rombi che se la buonanima della nonna lo avesse trovato in casa non ci avrebbe manco spolverato la credenza per quanto era brutto e pieno di nippoli.
Comunque, per non portarvela a lungo perché poi giustamente vi sfasteriate di leggere, Juan Manuel è un delantero, proveniente dalla cantera del Boca, con la tendenza da vagabondo del gol e un insolito feticismo per il calcio malesiano (malesiano perché proveniente dalla Malesia, non perché riguarda quell’allenatore-salumiere che vinse la Uefa col Parma). Effettivamente 50 gol in appena due stagioni con la maglia del Selangor MPPJ parlano chiaro, così come le 5 reti in 11 presenze con la maglia della gloriosa U de Chile. Altrettanto chiaro, però, parlano le 9 presenze – vedo non vedo – con la palla di pezza della gestione Lombardi sul petto.
Per concludere vi spiego – nonostante l’analfabetismo di ritorno che mi ritrovo – la teoria della relatività. Fate finta di avere il dono dell’ubiquità e scegliete due bar a caso (meglio se frequentati da gentimmerda): uno dalle parti di Torrione, l’altro a Shah Alam nello Stato di Selangor, in Malesia.
Bene, entrate e dite – “Buongiorno” – se il barista sta sciacquando sempre lo stesso bicchiere da un quarto d’ora, vi guarda storto e non risponde allora state a Torrione. Se invece entrate, dite “buongiorno” e manco vi rispondono, perché giustamente non vi capiscono, allora state alla Malesia.
Guardatevi bene intorno, ci sono viecchi che giocano a carte? Meglio. Schiaritevi la voce e chiedete: “Ve lo ricordate Arostegui?”
Mo le potenziali risposte sono due: “Uagliò ma che stai ricenn, c’iss venut a nsurdà stammatin?” Oppure:“Tetapi saya sangat menyukai Arostegui“. Avete capito? No? Manc ij. Comunque affidatevi agli sguardi, quelli non mentono mai, noterete uno sbrilluccicare e un emozionato annuire. Questa – in maniera talmente terra terra che la buonanima di Einstein mi arravogliasse una funa nganna – è più o meno la teoria della relatività.
Juan Manuel Arostegui – qui mi fermo perché pur senza dire niente ho scritto troppo assai – è l’estrema parabola di ciò che si semina nella vita.
E così può capitare che, ai due poli opposti del mondo, qualcuno si ricordi di te con un sorriso malinconico e tanta ammirazione, mentre altri – colpa di qualche caffè corretto e una mano a carte che non è stata cosa – ti mandino dolcemente a fangulo.