“Questo novembre si è presentato come comanda Iddio, co tutt ‘e sentimenti s’è presentato. Eh, lo deve fare. É il mese suo”.
Il risveglio, più brusco del previsto, coincide col naufragar tutt’altro che dolce al Mazza di Ferrara.
Poco male per chi è abituato a restare coi piedi per terra. Le sconfitte rappresentano un dramma a cui siamo abituati, è il modo in cui maturano – il contesto societario – a far storcere il naso.
Riprende – puntuale come il cannone del Gianicolo – il sordido esercizio del nascondersi dietro il dito, l’attacco sistematico nei confronti di tutto ciò che gravita al di fuori delle segrete stanze. Riprendono, altrettanto puntuali, i rituali di autocommiserazione, l’appellarsi ai presunti torti arbitrali, ai disegni complottisti che vedrebbero la Salernitana scientemente colpita dai poteri forti. No, un tempo forse, ma oggi non va così.
QAnon in salsa granata verrebbe da dire. Le teorie cospirazioniste, il paracadute. Come se retrocedere dalla Serie A fosse un privilegio. Come se i costi di gestione fra le due massime categorie del calcio italiano fossero paritetici. Per usufruire di un benefit è necessario guadagnarlo: SPAL, Brescia, Lecce, Chievo e tante altre, negli anni passati, hanno vinto sul campo. Ora (o ieri fa poca differenza) usufruiscono di un mezzo che – per quanto lontano dall’utopia di ripartizione delle ricchezze che alberga nel mio animo radicale – è lecito.
Il problema è a monte – o a valle, fate voi – la costruzione della rosa è ancora una volta lacunosa. Non si può prescindere da un calciatore di 36 primavere (ogni riferimento a Walter Lopez non è puramente casuale) che rappresenta poco più che un mestierante, così come non ci si può affidare all’estro di un unico attaccante, a una panchina pur lunga ma scarsamente variegata.
Le inadeguatezze sono tutte sul tavolo, le concorrenti – come è naturale che sia – iniziano a carburare. Il roboante ma estemporaneo primato di ottobre potrebbe trasformarsi nel consueto arrancare.
La Salernitana non è un vezzo, né un passatempo. É ritualità e dottrina, è un vizio serio. É come il caffè.
Ché il caffè, da queste parti, è una cosa sacra. Non è questione di acqua, pressione atmosferica e altitudine. Si, anche. Ma per fare un buon caffè servono impegno, passione e miscela di qualità.
“Mamma ro Carmn, Cuncè, ti sei immortalata! Ih, che bella schifezza ‘e cafè che ej fatt!”
“É venuto un pochettino lasco ma è tutto caffè!”
“Ma perché vuoi dare la colpa al caffè che in questa tazza non c’è mai stato? Tu sei permalosa, sei diventata permalosa. Non ti piglià collera, Cunce’. Tu sei una donna di casa e sai fare tante cose, come si deve. Pasta e faggioli, ‘a pasta ‘e pisielli, ‘a frittata c’a’ cipolla. Sei maestra, sei la reginetta della frittata c’a’ cipolla, come la fai tu non la sa fare nessuno. Ma ‘o ccafè non è cosa per te”.
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