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BRUNO CARMANDO: oggi come allora.

La commovente testimonianza di RAFFAELE CARMANDO, figlio di Bruno, storico emblema della società granata

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Bruno Carmando è stato ed è tutt’oggi un pezzo della storia Salernitana, la sua intramontabile passione, il suo incommensurabile amore per la sua città e per la squadra dell’ippocampo, continuano a vivere nel cuore e nella mente di chi lo ha conosciuto, sia direttamente che indirettamente.

Un simbolo per la Bersagliera, un’icona ai tempi dello storico stadio Vestuti. Una figura, quella di Bruno, fondamentale per la casacca del cavalluccio, sia per la bravura con cui esercitava il suo lavoro – al cospetto di chi necessitava del suo ausilio –  ma, soprattutto si distingueva per la forte personalità che, fungeva da collante all’interno dello spogliatoio granata, sia per incentivare e motivare la squadra, sia per raffreddare gli animi nei momenti più difficili ed infuocati.

A quindici anni dalla prematura scomparsa di BRUONO CARMANDO – precisamente il 21 Novembre del 2005 – suo figlio RAFFAELE CARMANDO, con affetto e sincerità , racconta ai microfoni di SOLOSALERNO.IT, alcuni particolari, misti ad aneddoti piacevolissimi, relativi al suo amato papà e alle esperienze che ha vissuto personalmente, seguendo “passo passo”, quella che è stata una colonna portante della sua vita.

Dall’infanzia all’età adulta, a seguire, la preziosa testimonianza di Raffaele.

Buongiorno Raffaele, dato l’anniversario della scomparsa del tuo papà, in veste di redazione di SOLOSALERNO.IT avremmo piacere di ascoltare tramite la tua versione, qualche vissuto di Bruno che ricordi con particolare enfasi.

Dalla tua panoramica, cosa credi rappresenti e cosa abbia rappresentato Bruno Carmando per Salerno e per i Salernitani?

Penso che mio padre per i Salernitani abbia rappresentato qualcosa che andasse, sicuramente, al di là dell’essere un semplice massaggiatore. Lo ricordano tutti con molto piacere, ma, la prima cosa che dicono è :” non ricordiamo solo le sue mani, per noi era un padre o un fratello maggiore”! Per me, quest’affermazione, racchiude il pensiero autentico dei salernitani.

Bruno Carmando e Giovanni Pisano

Bruno è stato protagonista dei difficili anni della cavalcata granata verso l’agognata serie B. Ben 24 primavere consecutive di serie C, dalla quale non ci si riusciva liberare, prima di affacciarsi alla cadetteria. Quanto ne sei stato partecipe di quei momenti? Come li ha vissuti?

Sono stati anni bellissimi, li ho vissuti da ragazzino, la prima promozione mi vedeva davvero molto giovane. Nonostante gli anni trascorsi, rammento quei momenti come se fosse ieri perché, sono delle emozioni che, sicuramente le persone riescono a capire, però, chi ci sta dentro veramente, le vive e le percepisce in maniera un po’ diversa, particolarmente enfatizzate, decisamente amplificata. Sono sensazioni che vanno al di là dell’essere solo tifoso o di amare la Salernitana. Di quel contesto io mi sentivo parte integrante, per me e mio padre la Salernitana non era solo una società o una squadra calcistica ma era la nostra famiglia.

Hai qualche aneddoto particolare che ricordi con affetto e simpatia rispetto alla carriera di Bruno “per” e “con” la Salernitana?

Un aspetto che racchiude il senso della Salernitana per mio padre, un qualcosa che può far capire cosa rappresentava la maglia granata per lui è la seguente: ricordo una scena che, molte persone ogni tanto mi riportano alla memoria. Eravamo a Pescara per lo spareggio contro il Cosenza, purtroppo la partita non andò a buon fine per la Salernitana e al fischio finale dell’arbitro successe che, la telecamera inquadrò una persona in lontananza, poi gli si avvicinò, quella persona era mio padre che, disperato per la sconfitta della sua amata, piangeva come un bambino. Piangeva irrefrenabilmente perché, vedeva svanita la possibilità della salvezza in cui lui aveva sempre e comunque creduto. Le persone rammentano con tanta commozione questo episodio che, lasciava emergere l’autenticità delle sue emozioni, del suo sentimento.

Bruno Carmando

Che ricordi hai del rapporto che aveva tuo padre con l’allora presidente Giuseppe Soglia?

Del rapporto che mio padre aveva con Soglia, ricordo ben poco perché, ero molto piccolo. Ho delle immagini impresse nella mente che sono i ricordi di un bambino, quindi il tutto vissuto dalla mia prospettiva. Una cosa che mi è rimasta impressa, risale a quando l’andamento della squadra, sul finire del campionato, cominciò a calare drasticamente e sembrava si stessero vanificando le speranze per poter ambire alla promozione. I tifosi iniziarono a contestare tanto Soglia, al punto tale da recarsi sotto casa sua. Gli animi in quelle settimane erano molto accesi. Addirittura una sera, sotto casa di Soglia, si presentarono circa 3.000 sopporters, per dimostrare il proprio malcontento. In quell’occasione io mi trovavo a casa dell’allora Presidente, io e la mia famiglia, eravamo stati invitati a cena da lui. Io ero solito giocare con i figli di Giuseppe, erano miei coetanei. Ero a casa del Presidente perché, mia mamma era molto amica di sua moglie e mio padre in stretti rapporti con Soglia. Improvvisamente, sentimmo degli schiamazzi, si alzarono dei cori inequivocabili, allora, mi affacciai al balcone di casa sua e vidi tutta questa gente. In vesti di bambino, cominciai ad assaporare anche la versione amara del calcio, cominciando a rendermi conto, anche, dell’altra faccia della medaglia, non considerando più solo la parte bella di quel contesto. Ebbi una brutta sensazione rispetto a ciò che stava succedendo.

Mentre, di Agostino Di Bartolomei cosa puoi dirmi?

Di Agostino ricordo una cosa bellissima. Anche in quel periodo ero abbastanza piccolo. Andavo spesso a vedere gli allenamenti con mio padre, indossavo la tuta granata ed in una zona del campo, facevo, spesso, finta di giocare anch’io come i calciatori, volevo credere di essere parte integrante della squadra nel vero senso della parola. Il mio posto preferito era vicino alla curva. Agostino mi voleva molto bene, palleggiavamo spesso assieme, una volta successe che, mentre giocavo con il pallone, mi venne voglia di calciarlo con tutta la forza che avevo, ma, essendo bagnato il terreno, causa pioggia, durante il tiro, scivolai. Nello scivolare, caddi all’indietro, sbattendo con la schiena per terra. Restai circa dieci secondi immobile, mi mancò il respiro, a quel punto ricordo che Agostino mi allargò le braccia e cercò di farmi rinvenire. Non appena mi ripresi i miei occhi videro come prima cosa il sorriso sul suo viso.

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Sono Raffaella Palumbo, classe 1990, salernitana dalla nascita. Per varie vicissitudine, sono espatriata a Genova da quando avevo 21 anni, nel capoluogo ligure esercito la professione di insegnate. Amo la vita in tutte le sue sfaccettature, non trascuro i dettagli. L'ottimismo, la curiosità, la follia, l'intraprendenza ed il sorriso sono caratteristiche di cui non posso fare a meno. Tra le gioie più grandi della mia vita rientra mia figlia: Martina. La pallavolo, la scrittura, i viaggi e la Salernitana sono le mie principali passioni. La benzina delle mie giornate risiede in tre espressioni che non cesso mai di ripetere a me stessa e agli altri: " VOLERE è POTERE, CARPE DIEM e PER ASPERA AD ASTRA"!!!

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