Da oggi per noi che amiamo il calcio sarà “prima e dopo Maradona“ come da sempre diciamo “prima e dopo cristo”. Il Dio del football se ne è andato. Ha disegnato il calcio come nessuno lo aveva mai fatto e sicuramente come nessuno riusciva neanche ad immaginarlo. Grazie per averci fatto vedere cose che forse mai avremmo visto. Maradona è stato il più grande. Fuori dal campo ha mostrato una fatica nel vivere… Ma i geni sono così… dribblare in 11 mosse e vegliare tutta la notte Bruscolotti in ospedale, immenso ed uguale in tutti e due i momenti.
Erano trascorsi pochi minuti dalle 17 (le 13 a Baires) e El Clarìn l’aveva appena urlato al mondo.
Nella chat della redazione l’abbiamo saputo così, dal messaggio dell’editore.
Non la notizia, no, direttamente un messaggio di addio.
Non avremmo potuto affidarlo ad una singola penna, questo addio, ché questa testata racconta di calcio, e di chi lo ama. Diego Armando Maradona era, per questo, patrimonio di tutti. Giusto che tutti lo ricordassero.
Dopo il primo messaggio, in quella chat, ne sono venuti altri. Li abbiamo raccolti qui.
L’immagine di Diego stava lentamente sfumando da tempo.
La nostalgia per il suo calcio divino esula dalla sua presenza fisica sul pianeta.
La magia calcistica che ci ha regalato, perché di questo si trattava, era la sintesi perfetta di una felice mescolanza di arti.
Spero trovi finalmente pace. Quella serenità che riusciva ad esprimere quando accarezzava il pallone sul prato verde.
“San Gennà, non ti crucciare, tu lo sai ti voglio bene, ma na fint e Maradona squagl o sang rint e vene… E chest è”. I versi dell’improvvisato poeta Luigino ne “il mistero di Bellavista” racchiudono ciò che ha rappresentato Diego per Napoli e per il calcio. Ha unito e diviso, ha fatto disperare e gioire. Per vivere come lui ha fatto, una persona normale dovrebbe nascere e morire 10 volte. Lui è stato grande anche in questo. Ora, palleggiando, sarà al cospetto di colui al quale si è sentito spesso paragonare. Forse gli chiederà scusa. O forse no. Non importa. Lui capirà.
Da oggi il calcio sarà diviso da P.M e D.M, ma il dopo è ancora tutto da scoprire.
Riposa in pace Pibe de Oro.
Perfezione e imperfezione, fantasia sfrenata e triste realtà, poesia e dramma. Maradona sarà sempre il luogo fisico dove tutto questo ha trovato spazio, contemporaneamente, senza soluzione di continuità. Un mix condito da una generosità – ai più ignota – che ha colpito nel profondo del cuore le persone a lui più vicine e che lo ha mortalmente pugnalato alle spalle quando ha sfiorato la Napoli peggiore, pronta a far suo chi l’aveva portata fuori dal fango.
E quel giorno è arrivato.
Avresti voluto non viverlo, non avresti voluto vedere quel banner giallo che annunciava la sua morte, non avresti voluto leggerlo.
“No, dai, il titolista si è sbagliato.” Invece è vero.
Non ho mai visto una persona al mondo che abbia unito l’intellighenzia al popolino che non sapeva né leggere né scrivere.
Fidel Castro e i narcotrafficanti.
Non leggerete scritta da me una sola parola di quello che è stato Diego fuori.
Diego ha creato parabole che danno l’illusione al portiere di poterci arrivare.
E io, io aspetterò un nuovo giorno.
Quello in cui vedrò un altro ragazzino che, quando sceglierà un numero, sarà il 10.
“Maradona en recorrida memorable, en la jugada de todos los tiempos: barrilete cósmico! De qué planeta viniste para dejar en el camino a tanto inglés, para que el país sea un puño apretado gritando por Argentina?”
Il mondo del calcio si suddivide in calciatori, campioni, fuoriclasse e geni. Maradona esula da queste categorie, Diego è stato un eroe. Gli eroi sono quelli che squarciano il velo delle oppressioni, obnubilano le ingiustizie. Depositari di quel seme detestato dai potenti: la rivoluzione. Gli eroi spezzano il pane, incitando alla rivalsa, apparecchiano una lama di sole sulla tavola degli affamati.
Buen Viaje D10S!
Se ne è andato il Calcio. Punto. Inutile andare avanti a scrivere parole ridondanti. Basta una lettera maiuscola per enfatizzare la sua grandezza. Un gesto semplice, come era semplice dribblare tutta l’Inghilterra o beffare Tacconi con una punizione che ridicolizzò le leggi fisiche del moto parabolico. Ha attraversato i tempi. Ancora oggi, nelle partitelle dei bimbi, quando un ragazzino si innamora della palla, gli urlano: “passala, non sei mica Maradona“. Mica Messi o Ronaldo.
Un campione senza maglia e senza tempo, che ha fatto innamorare e sognare generazioni di appassionati ad uno sport che, da oggi, non sarà più lo stesso.
Con immenso orgoglio, mi piace pensare che anche la mia amata Salernitana, nel lontano 1985, abbia avuto l’onore di incrociare i tacchetti del Dio del calcio.
Buon viaggio, D10S.
Incoronato Re da uno sterminato popolo di sudditi adoranti, a loro ha donato la gioia del suo talento smisurato senza celare i lati oscuri del suo mondo interiore. Eccessi e generosità, imprese ardite e repentine discese. Diego Maradona è stato un uomo in fuga, sempre solitario al comando eppure sempre pronto a guardare dietro e ai lati della strada per aiutare chiunque avesse bisogno. Nella memorabile partita con gli inglesi mostrò al mondo intero tutto quello di cui un genio sia capace. L’incanto e la beffa. In fondo, i due volti della vita di un Re.
La leggenda del calcio mondiale porta il suo nome: Diego Armando Maradona. L’emblema del talento era racchiuso nell’estro e nella fantasia che il campione argentino era in grado di esprimere sul rettangolo di gioco. Diverso da sempre, differente comunque ed ovunque, ipnotico per chiunque lo ammirasse. Una fonte di ispirazione, un esempio sportivo per tutti. La sua passione ha smesso di esprimersi e di allietare il pubblico sin troppo presto, non ci saremmo stancati di sognare ancora le prodezze che era in grado di regalare.
Ma, come si suol dire: chi vive negli occhi, nelle mente e nel cuore di chi resta, non muore mai e tu Diego… sei e rimarrai immortale!
Non è un giorno triste. È stato Dio in terra, ha vissuto come voleva in Barba (così gli argentini chiamano Dio n.d.r.) – la maiuscola ha un senso – a qualsiasi regola non fosse la sua. A che gli serviva morire vecchio?
I suoi sessant’anni valgono quattro delle mie migliori vite possibili.
Non siate tristi perché è morto.
Siate felici perché è nato.
“E Maradona tien sul a M”. Uso quest’espressione per esprimere il mio personale pensiero su uno sportivo, un calciatore, una persona, una storia così facile, ma allo stesso tempo così difficile da ricordare e raccontare. Un’espressione, una battuta apparentemente irrilevante, che riempie tutt’ora le tante partite di calcetto con i coetanei, a mo’di sfottò verso il sottoscritto. Un’espressione che, però, la dice lunga su cosa quel mancino con la 10 sulle spalle abbia rappresentato per il mondo del calcio e dello sport in generale. A tutti i livelli. Oppure, per citarne un’altra, “U stat facenn fa Maradona”, utilizzata per esprimersi in modo “critico” su un qualsiasi atteggiamento difensivo. Basta davvero poco, obiettivamente, per sintetizzare quanto tutti gli appassionati innamorati di un pallone che rotola su un prato verde debbano tanto, tantissimo, a Diego Armando Maradona. Dopo Kobe Bryant, questo 2020 all’insegna del Covid porta con sé un altro membro dell’Olimpo dello sport. Uno dei più grandi, per molti il più grande della storia. Ma ogni discorso ulteriore è superfluo. E quindi, proprio come accaduto la sera di quel maledetto 26 gennaio, mi limiterò, con El Diez come con Kobe, ad una semplice parola: GRAZIE.
Diranno che quel giorno a Baires morirono, nello stesso letto, un re ed una puttana.
Non amo la folla, andrò a piangere dove c’è più spazio.
Tra chi onora il re ci saranno, sicuro, quelli che sulla strada l’hanno messa, quella puttana, mangiando sul suo corpo, cavandone quasi tutto il sangue e lasciandone solo un residuo avvelenato, i signori del pallone che l’hanno usata e poi gettata, i bastardi che di coca l’hanno riempita.
Non terra lieve, ti auguro, ma cieli in cui volare, spirito geniale, debole e ribelle che in vita ti chiamasti Maradona.
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