Il mondo intero piange la scomparsa di Diego Armando Maradona. Tanti, tantissimi i messaggi d’affetto hanno riempito nelle ultime ore le bacheche social di chiunqu, dal vivo o attraverso i filmati, abbia ammirato le gesta del “Dio del calcio”. Diego, però, per tutti gli amanti di questo sport meraviglioso, non è stato soltanto un calciatore sublime dalle doti divine. Diego è stato, ed è tuttora, molto, moltissimo di più di quanto si possa anche lontanamente immaginare.
Diego è un simbolo di rivalsa, di riscatto sociale. Un uomo del popolo, partito dal fango di Villa Fiorita e arrivato nell’Olimpo del calcio. Uno che, con la sua straordinaria grandezza, è stato capace di unire “l’inconciliabile”. El Diez lascia un vuoto incolmabile non solo negli “innamorati del pallone”, ma anche e soprattutto in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo in tutta la sua essenza… come Juan Carlos Laburu, ex cameraman personale del Pibe de Oro. Per anni Laburu ha filmato ogni istante della vita quotidiana del D10S, carpendone gioie e dolori, aspirazioni e preoccupazioni.
Tutto il mondo piange la scomparsa di Diego Armando Maradona, il Dio del calcio. L’unico, probabilmente, che è riuscito a mettere tutti d’accordo sulla sua straordinaria grandezza. Per lei, che ha vissuto al suo fianco per tanti anni, è come se fosse andata via una persona di famiglia…
«Senza dubbio. Siamo stati insieme per diversi anni ed eravamo molto affiatati nel lavoro. Diego era un personaggio di quelli che ti rendi conto della grandezza soltanto se lo vivi da vicino. Molta, troppa gente parla del “Diego”, ma per conoscere una persona veramente devi stargli vicino, devi sentirla, viverla quotidianamente. Maradona, in questo senso, era un fenomeno totale. Era un ragazzo eccezionale, non solo sportivamente, ma soprattutto umanamente. Tutti ne parlano bene e oggi piangono la sua scomparsa, dai suoi ex compagni agli avversari. Diego era l’idolo di tutti, aveva un cuore puro. Lui è un uomo che ha sempre difeso il popolo, dall’Argentina al sud Italia. Un uomo che ognuno dovrebbe avere come amico. In Argentina, ad esempio, lo amano soprattutto perchè ha fatto conoscere il nostro Paese al mondo intero.»
Qual è l’episodio, legato alla sua figura, che ricorda con particolare affetto?
«Ricordo tutto con affetto. Non c’era un momento in cui non ti sentivi bene con lui. Spesso capitava di pranzare insieme, il più delle volte a casa mia, perché io ho sempre cercato di non inserirmi più di tanto all’interno della sua famiglia. Era molto affezionato ai miei figli, Tomas e Carlo, e gli piaceva giocare con loro. Tra me e il “Pelusa”, come mi piace chiamarlo, c’è sempre stato un rapporto fantastico.»
E il più doloroso?
«Quando è andato via da Napoli. Ricordo che, come ogni mattina, andai a Soccavo per riprendere l’allenamento e non lo trovai. Fu uno shock terribile. Un altro brutto momento fu in occasione del Mondiale negli Stati Uniti del ’94, quando fu utilizzato e buttato dalla “famiglia Fifa” nel giro di pochi giorni. Quei momenti Diego li visse molto, molto male.»
Quale eredità ha lasciato Diego, e chi è, a suo avviso, l’erede?
«Diego, in campo, non avrà mai un erede. Un altro Maradona non potrebbe mai rinascere. Diego era un “angelo” col pallone, un’entità divina. L’eredità che lascia, invece, è la lealtà sportiva. Lui non ha mai chiesto l’ammonizione di un avversario che gli ha fatto un fallo, come invece si fa adesso ripetutamente. E di botte ne ha prese e anche di molto pesanti. Per questo, oggi, tutti i suoi avversari lo rispettano e lo piangono.»
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