Ecco, basta questo per far capire che aria tira in Italia. Rispetto a tante cose.
Non fa eccezione la classe dirigente del Coni che si rapporta con gli sport femminili ragionando per stereotipi.
Primo (e qui mi metto pure io). Lo sport femminile è una palla mortale e chi c’è dentro non ha le conoscenze tecnico tattiche per farlo.
Secondo le donne non riescono per intelligenza e forma fisica a reggere 90 minuti.
Terzo forse è meglio che stiano a casa a badare i figli e a vedere la D’Urso
Quarto devono fare vedere le tette. Puoi avere tutte le lauree di questo mondo, puoi dirigere un’azienda, una società sportiva, un gruppo di persone … ma se non hai dalla terza in su non esisti.
Bene.
In questo periodo ho letto un bel po’ di donne che in una maniera o in un’altra nello sport ci hanno passato del tempo.
Mo’ prendete Carolina Morace. Ha scritto un libro su di lei sul mondo del calcio di cosa vuol dire essere donna nel calcio.
Bene ‘sto libro è stata una rivelazione. Perché scrive cose sacrosante. Perché è una che si merita di stare nel posto dove sta. Alzi la mano chi ha l’abilitazione Uefa e Fifa per insegnare calcio agli altri allenatori, una tessera di giornalista una laurea in giurisprudenza ed essersi portata un pallone a casa dopo 4 goal segnati a Wembley. Ed essere la prima donna a entrare nella Hall of Fame di Coverciano.
Racconta di dirigenti poco intelligenti come Maldini e Leonardo che si opposero a portare a Bari la figlia di sua moglie. Ma anche di persone come Gattuso che seguiva i suoi metodi, consigliava e si confrontava sui carichi di lavoro.
Racconta di come la politica sportiva in Italia sul calcio femminile è paragonabile a qualcosa degna di un girone dantesco.
Esempio: lei che viene invitata dalla Fifa a tenere corsi per allenatori in Italia doveva avere un tutor mandato a tutte le allenatrici dalla federazione.
L’unico inconveniente per lei? Quando ai workshop parlava Allegri lui rimaneva bello elegante nel suo abito di sartoria. Lei finiva sempre sudata. Non per la tensione ma per la menopausa.
Altro esempio? In Francia l’Equipe dedica la prima pagina all’allenatore della nazionale.
E poi Francesca di cognome Schiavone.
Nata a Milano con tre vite.
La prima dove ha donato sé stessa i suoi sogni il suo tempo le sue energie per arrivare al top nel tennis. Mo’ ditemi voi quante persone conoscete che rispondono ad un colpo scagliato a 200 km da Serena Williams.
Ecco lei lo ha fatto.
La seconda vita è quella che non ti aspetti e non vuoi. Un male che ha un nome e un cognome Linfoma di Hodgkin. Che andava affrontato come un torneo dello slam. E lo ha vinto. E li è cambiata lei, è riuscita a vedere a leggere cose che non faceva prima.
La terza è la via d’uscita che si è data. Resettare tutto, ricominciare da zero, cambiare, leggere, trovarsi un sogno, quello di un locale, poi quello di allenare. Tornare a riavvolgere il nastro e metterlo per iscritto.
La terza oca si chiama Thalia Mitsi.
Embed from Getty ImagesUn arbitro con tanto di lauree e lavori in giro per l’Europa per l’Uefa, dove tra le altre cose era formatrice degli arbitri.
Dopo aver preso il patentino in Italia e aver arbitrato in Svizzera decide di tornare in Grecia per arbitrare. E li subisce una sorta di ostracismo perché donna.
In Europa arbitra partite di Champions’ femminile, Europei per nazionali. In Grecia tra i maschi le viene in pratica impedito nel modo più subdolo.
Insomma le fanno assaporare l’odore della massima serie. Come 4to uomo mai come arbitro principale. Di li la sua lotta per ottenere un diritto che non arriverà mai.
Cazzi della lega greca che ha perso una mente e complimenti alla Eurolega di basket che ha guadagnato proprio in Thalia la responsabile della sicurezza della competizione.
Perché le oche?
Lo spiega la moglie della Morace a lei.
Le oche volano in branco e ragionano in gruppo sincronizzandosi, e la loro formazione aiuta chi è più stanco.
Loro mi sa che sono avanti già da un po’.
Qualcun altro pensa solo a non tirare fuori i soldi.