Non di solo talento si compone la storia del calcio. Esistono gesti – espressi o negati – che assumono un significato universale, eterno. Fotogrammi, cuoio e polvere del periodo più tragico per il vecchio continente. Il giogo dei totalitarismi: nel decennio che conduce dal ruggito del giradischi al boato delle granate. Amore, regime e morte: Matthias Sindelar, “carta velina”, fuoriclasse del Wunderteam si oppose all’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. La letteratura ha affrontato, nel corso degli anni, la parabola del talento che, durante la partita dell’unificazione fra Austria e Germania, negò il saluto al Fuhrer.
Oggi, fra le nostre colonne virtuali, abbiamo l’onore di ospitare Carlo Rispoli. Fumettista, originario di Grosseto, che attraverso le sue tavole ha deciso di omaggiare la figura del Mozart del Calcio e di sua moglie, Camilla Castagnola, morti in circostanze “misteriose” il 23 gennaio del ’39. Un’inchiesta a ritroso, quella del Commissario Andrea Baroni, tesa a rendere giustizia ai due personaggi rievocando le pagine più buie del ‘900. Il caso Sindelar ma non solo. Il disegnatore toscano, infatti, durante il suo percorso artistico si è soffermato anche sulle pietre miliari dell’universo letterario, “L’isola del tesoro” di Luis Stevenson su tutte, “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, “Le due tigri” di Emilio Salgari. La velleità di dar voce agli oppressi, inoltre, rappresenta la stesura de “La Coccarda rossa“. Si tratta di una revisione storica che riguarda l’annessione del Sud da parte dei Savoia secondo la prospettiva di chi si è sentito invaso.
La lunga e piacevole chiacchierata, scandita dai tratti leggeri e per nulla banali, con il fumettista toscano parte dal racconto degli inizi: il suo tragitto fra tavole ed acquerelli.
Dove nasce la passione per il disegno, quando è iniziata?
La passione per il disegno è nata con me, da bambino scarabocchiavo in continuazione. Il tutto si è concretizzato quando ho iniziato ad avere l’uso della mano, ma soprattutto della testa: senza l’uso della testa le mani servono a ben poco. Non ho proseguito gli studi per arricchire il mio percorso grafico e artistico, né l’ho fatto come hobby per lungo tempo. Ho intrapreso altre strade e ho dovuto porre un freno alla mia passione per un discorso legato al tempo e ad altri impegni. Ho ripreso gli acquerelli intorno ai 40 anni perché disegnare, soprattutto raccontare storie, ha acceso la scintilla per rimettermi in gioco. Certe passioni, per quanto sopite, tornano sempre a galla. Un altro dei motivi per cui ho iniziato è stato per accontentare i miei figli che, ai tempi delle scuole elementari, mi chiedevano di disegnargli dei personaggi. É stata dura, però la passione è più forte di ogni impedimento ed ha prevalso la mia voglia di provare a raccontare storie.
Quali influenze artistiche hanno determinato lo stile, i fumetti dell’infanzia magari…
Scavando nella memoria ricordo che, da bambino, mia madre mi teneva in braccio leggendomi il Topolino: sono cose che, a quei tempi, erano molto comuni. Queste letture in terza persona mi hanno segnato. E poi, andando a riscoprire certi libri illustrati che avevo durante la mia infanzia, ne ricordo nitidamente le immagini. Questo è importante perché, anche i fumetti, hanno la vocazione di costituire un bagaglio culturale importante un po’ per tutti. A scuola ho preso coscienza dei fumetti che, all’epoca (Carlo Rispoli è nato nel 1961), andavano per la maggiore. Questo nonostante il fatto che, per molti, il fumetto rappresenti una forma di letteratura minore. Si tratta di persone – anche di una certa autorevolezza – che hanno scarsa conoscenza del prodotto. Se io ho letto dei romanzi fatti male non tendo a generalizzare attaccando il genere in sé per sé. Il disegno, chiaramente, se non è corredato da una sceneggiatura di livello rimane lì. Se attraverso un disegno non riesco a raccontare una storia non sto facendo un buon lavoro. Allo stesso tempo, non puoi raccontare una pessima storia con dei bei disegni.
Da Dumas a Stevenson, opere immortali come “Il Conte di Montecristo” e “L’isola del tesoro” rese in chiave fumettistica, qual è l’obiettivo?
Avendo avuto un incontro con una scolaresca di un istituto artistico, ragazzi fra i 15 e i 18 anni, mi sono reso conto che non conoscevano “L’isola del tesoro”: uno dei grandi classici della letteratura. Era il periodo in cui uscì “La maledizione della prima luna” con Johnny Depp, un filone piratesco attraverso cui milioni di ragazzi si innamorarono di Jack Sparrow. La maggior parte della sceneggiatura di quel film ha attinto a piene mani dall’Isola del tesoro di Stevenson, perché amare Jack Sparrow e non conoscere quello che è venuto prima? Qui nasce la mia prima pubblicazione importante (Edizioni Segni d’Autore), c’è voluto molto coraggio perché il romanzo di Stevenson – soprattutto dal mondo del cinema – è stato riproposto in centinaia di forme, pertanto, entrare in un campo minato del genere era molto pericoloso. Ho iniziato a lavorare a questo prodotto nel 2010 (chiesi la mano di Manuel Pace che mi affiancò per la sceneggiatura) perché ho sentito la necessità di trasportare a fumetti un libro che ho tanto amato da piccolo – all’epoca per i compleanni si usava regalare libri, ora non va più di moda – e ancora oggi. Piano piano mi sono accorto del gravoso compito che avevo assunto, però quando decidi di portare avanti un impegno cerchi di farlo nel miglior modo possibile. Altra cosa stupenda è che quando disegni, sceneggi, scrivi o traduci un’opera del genere, ti siedi letteralmente accanto all’autore originale e lavori insieme a lui. Hai amato il libro, di conseguenza hai amato lo scrittore e lavorare con lui è qualcosa di incomparabile. Altro lavoro degli ultimi tempi è il “Conte di Montecristo”, tratto dal celebre romanzo di Alexandre Dumas. Il 5 dicembre si sarebbero dovute tenere le commemorazioni per i 150 anni dalla morte dell’autore: in Francia è una data molto sentita, ma la situazione correlata al Covid-19 ha limitato gli eventi organizzati per omaggiare la figura dell’illustre romanziere. La riduzione a fumetti, di cui ho curato sceneggiatura e disegni, è l’unico volume tradotto in francese in circolazione.
Il processo creativo è una sorta di paternità, quale personaggio disegnato negli anni rappresenta il figlio prediletto?
Sicuramente uno dei personaggi a cui tengo particolarmente è Long John Silver, il protagonista-antagonista dell’Isola del tesoro. Finito il libro, praticamente, devi abbandonare i personaggi con cui hai vissuto per qualche mese e questo rappresenta una specie di trauma, un dispiacere. Cercai di non abbandonare Long John Silver, non perché il personaggio cessi di esistere senza me: è immortale. Il problema è stato il mio, piuttosto, per una questione di egoismo affettivo: senza di lui esisto meno io, in parole povere. Allora cosa ho fatto, l’ho accompagnato in un altro paio di avventure per farci continuare a vivere in simbiosi: “La Isla desconoscida” e “The Cruise of the Pequod“, due lavori abbastanza recenti – da me sceneggiati – dove Long John Silver diventa, in primissima persona, protagonista di storie a lui dedicate. Poi, è chiaro, tutti i personaggi per i quali disegno diventano per me unici. Quelli che riesco a sceneggiare sono ancora più unici. Anche quando il committente mi passa la sceneggiatura devo per forza di cose diventare, a seconda dei casi, amico o nemico del personaggio. Un gioco particolare e, tutto sommato, divertente.
Passiamo al caso Sindelar, alle inchieste del commissario Baroni. Come nasce questo personaggio?
La vicenda di Matthias Sindelar si sviluppa nel gennaio 1939, nel pieno del regime fascista in Italia. Il commissario Andrea Baroni lavora nel commissariato di Porta Vittoria a Milano, è un personaggio che ha una certa età, una certa esperienza. Un commissario che va contro il sistema, pur vivendo una situazione in cui, a livello istituzionale, le regole sono molto rigide. Questa inchiesta la svolge nonostante il parere contrario del prefetto e, per proprietà commutativa, del regime fascista. Questo perché segue una vocazione, ha una visione universale della giustizia, deve cercare di scoprire la verità: una delle tante insabbiate dai meccanismi di una dittatura. I committenti dell’indagine sono i Castagnola – genitori di Camilla, moglie di Sindelar – che chiedono di far luce sulla morte della figlia. Il commissario, subodorata la scarsa limpidità della faccenda – nonostante l’indagine, appartenente ad un campo giuridico straniero, fosse stata già archiviata dalle autorità naziste (l’Austria, da meno di un anno, era passata appunto sotto il controllo nazista) – parte comunque, spinto dalla sete di giustizia. La vicenda si sviluppa in un periodo storico particolare, il commissario Baroni funge da elemento di forte disturbo per il regime fascista e non solo.
Dal 12 marzo del ’38, data dell’Anschluss, al 23 gennaio 1939: nel giro di un anno gli austriaci persero identità nazionale e calciatore più rappresentativo, quali furono le reazioni all’epoca?
Esistono modalità particolari attraverso cui una dittatura riesce a toccare i tasti giusti, facendo breccia nella testa – e nella pancia – delle persone. Gli austriaci accolsero favorevolmente l’annessione, al netto delle fisiologiche sacche di riottosità ci furono un referendum plebiscitario e tantissimi festeggiamenti. Certi personaggi, come Hitler e Mussolini, avevano la capacità di catalizzare il malcontento popolare e, di conseguenza, seminare false speranze. Per cui un paese con poca cultura, scarsamente scolarizzato, poteva essere preda di determinate dinamiche. Sindelar e la moglie – di origini ebree – furono ampiamente denigrati dalla stampa di regime che tentò, naturalmente, di infangarne la memoria. Gli austriaci, a prescindere da tutto, non dimenticarono le gesta del proprio calciatore di maggior rilievo. Le eventuali fiammate di orgoglio austriaco, del resto, vennero sopite dall’incedere degli avvenimenti che avrebbero colpito il cuore dell’Europa di lì a poco..
C’è un legame a doppia mandata fra sport e totalitarismi, collegandosi alla recente scomparsa di Diego Armando Maradona: il calcio può rappresentare un viatico per garantire il riscatto sociale o l’autodeterminazione di un popolo?
Qualsiasi sport popolare conosce una carica del genere: il pugilato e il calcio ad esempio. Già nell’antica Roma i gladiatori, personaggi del popolo, dimostrano che in certi casi – citando il film Spartacus che, per quanto romanzato, ha delle basi storiche solide – se riescono ad alzare la testa nei confronti dei giganti che amministrano lo stato, possono far sognare tante persone appartenenti a ceti sociali molto bassi. Determinate personalità sono in grado di far credere che tutto possa essere possibile, anche sovvertire gli equilibri gerarchici e i legacci del potere costituito. Sicuramente tante persone dello sport – in questo caso del calcio – come Diego Armando Maradona, arrivando a certi livelli, possono tutto: rinfocolare il furore dell’America Latina nei confronti del dominio statunitense, per dirne una. Sono individualità che spianano la strada e fanno sì che certe situazioni possano cambiare, dipende da quanto riescono a far pesare il loro modo di essere e da quanto la gente riesca a farsi trascinare.
Per godersi i lavori di Carlo Rispoli basta accedere alla pagina Facebook: https://www.facebook.com/carlo.rispoli1961
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