“Era l’anno dei Mondiali,
quelli dell’86.
Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.
Così scriveva il grande Antonello Venditti nella sua celeberrima canzone “Giulio Cesare”. Dopo l’estasi di Madrid era diventato un calciatore normale, al tramonto della sua carriera ma con la consapevolezza di aver scritto una pagina di storia irripetibile.
Delle gesta del Pablito nazionale nel 1982 si è scritto e detto di tutto ma è passato sotto traccia il grande contributo che lui diede in Messico anche senza mai scendere in campo. Paolo Rossi partecipò alla spedizione messicana dopo un’annata terribile al Milan ma il Ct lo volle fortemente affinché lui potesse fare da chioccia ai giocatori più giovani. Al suo posto giocò sempre il salernitano Galderisi ma lui non fece una piega accettando quel ruolo di comprimario anche perché il suo ginocchio continuava a dare problemi.
I campioni si vedono anche in questi momenti. È andato via come si suol dire “in punta di piedi” stroncato dal male del secolo a 64 anni e non a caso, i più grandi gli hanno tributato il giusto saluto, finanche i media brasiliani: “E’ morto Paolo Rossi, l’uomo che fece fuori il Brasile dal Mondiale ’82 uccidendo il nostro sogno. Ha sempre portato rispetto, e noi brasiliani abbiamo sempre avuto grande rispetto per il giocatore e per l’uomo”. Parliamoci chiaro, vedere la disperazione nei volti di Zico, Socrates, Falcao, Eder resta ancora qualcosa di indimenticabile.
“Ciao Paolo… I giocatori non dovrebbero andarsene prima degli allenatori“. Così l’ex allenatore della Juventus Giovanni Trapattoni ricorda – come un padre con un figlio – Paolo Rossi, con un messaggio su Twitter.
“Lo ammetto… piango. Facevi parte del gruppo di ‘Amici Veri’. E’ il messaggio commosso di Zibi Bonieki, suo compagno di squadra con la maglia della Juventus. “Con te non solo ho vinto – conclude l’ex giocatore polacco – ma anche vissuto”.
Infine l’amico di sempre, Bruno Conti su Instagram: “Ci hai portato sul tetto del mondo. Maledetto 2020. Ciao amico mio. Rip”.
C’ chi ha deciso di tacere, come Antonio Cabrini e chi , come Dino Zoff lo ricorda per il suo carattere: “I rapporti con lui erano stupendi, era simpaticissimo. Intelligente, aveva tutto per stare bene. Qualcosa difficile da capire”.
Nel giro di dieci giorni sono andati via chi il Mondiale lo vinse da solo e chi scelse, in quell’anno, di stare vicino alla squadra per far sentire il peso della sua esperienza. Non sapremo mai se le cose sarebbero potute andare diversamente. Se una sua presenza nell’ottavo di finale con la Francia di Platini avrebbe potuto cambiare le cose.
Ci resta il suo ricordo. La sua spensieratezza anche nei commenti e quel sorriso con la Copa de Oro nelle mani.
Buon viaggio Pablito. Ci mancherai.