Editoriale

Il cielo stellato sopra di me, equilibrio ed unità dentro di me: più o meno.

Tempo di lettura: 2 minuti

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri,
china e distante sugli elementi del disastro,
dalle cose che accadono al di sopra delle parole
celebrative del nulla,
lungo un facile vento
di sazietà,

di impunità

The roaring twenties, il secondo decennio dei duemila è ormai certezza.

E, fedele agli inverni di cento anni fa, porta in seno la malerba della divisione: da un lato i novelli sansepolcristi, dall’altro le piazze libere e rosse.

Il 2021, tornando a noi, coincide con il decennale che celebra il costante sgretolarsi di sogni e aspirazioni.

Verrebbe da urlare: “BINGO!”

O forse, per esser più fedeli alle nostre tradizioni: “TOMBOLA!”

Eh, già. Sembra proprio quel gioco che scandisce le festività natalizie. Ovviamente il tabellone – ci mancherebbe altro – è prerogativa del tridente capitolino.

I tre soci – o due e mezzo, fate voi – non estraggono numeri, bensì parole chiave. Segnali in codice – ma neanche tanto – attraverso cui dirottare – o quantomeno provacce (mi scuso per il romanesco stentato, fortunatamente appartengo alla pisciajola specie) – l’opinione pubblica del popolo granata.

Un linguaggio che non si materializza in quanto ricerca del termine e non è, assolutamente, rivelazione di sé stesso.

Tutt’altro, si uniforma a ciò che precede e poi segue e – alle nostre orecchie di poveri menestrelli sforniti di documentazione idonea ad esercitare la professione – appare tutto così tristemente uguale, monocorde. É ciò che, effettivamente, gracchia Radio Rurale o tutto quello che, trasformandosi in leggera velina, nutre i rotocalchi del Popolo d’Italia. Li chiameremo commilitoni dell’informazione, standardizzati e impuntiti: il regime, del resto, prevede cravatte e sorrisi di rappresentanza.

Quel che rimane è una sfilza di aggettivi orfani di fantasia, vino sulla tavola di chi si presta al giornalismo pur ignorando il galateo grammaticale: dall’imponderabile al cazzuto, dal criticone al complottista.

Per non parlare della scelta dei sostantivi, ripetuti come un mantra.

Salerno, ormai, pare la succursale felicemente asessuata di chissà quale tempio Shaolin: equilibrio ed unità, unità ed equilibrio.

Equilibrio: capacità di restare al comando, negli anni, nonostante le avversità. Nonostante la monotonia delle strade percorse e delle piste battute, nonostante l’affetto nutrito per una stretta schiera di procuratori, nonostante le invasioni di campo, nonostante le massime intrise di moralità (come se chi scrive si recasse in un monastero per impartire lezioni di castità).

Per essere un pelo più potabili, magari più comprensibili: nonostante i Fall e i Fofana, i Baraye e i Billong, i Calaiò e i Memolla, i Signorelli, gli Alex, i Roberto, i Cenaj e gli Asmah. Mi fermo qui, se volessi elencarli tutti non basterebbero le pagine di uno Zanichelli.

Unità: voglia di stare insieme, uncinati allo stesso banchetto, declamando la poesiola postprandiale dedicata al Signore che tutto dona, tutto perdona e tutto pote.

Tutto il contrario di tutto ma, nonostante tutto, nulla a che vedere con l’amore per la casacca granata.

Quello – magari – lasciamolo ai ben più meritevoli popolani, abituati ai gradoni più che alle scale mobili.

Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta.
Come una malattia.
Come una sfortuna.
Come un’anestesia.
Come un’abitudine
.

Fabrizio De André
FOTO: TanoPress. Salernitana-Casertana: Claudio Lotito con Angelo Fabiani, Marco Mezzaroma ed Enrico Lotito
Alfredo Mercurio

Nato nel '90. Due passioni governano i moti del cuore e, molto spesso, confluiscono l'una nell'altra: Salernitana e poesia.

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