La Salernitana che si affaccia al nuovo millennio è un concentrato di dinamismo e leggerezza. Veloce e avveniristica come solo le premesse di una svolta culturale sanno essere. C’è spazio, però, come recita il “Piccolo mondo antico” a cui eravamo abituati, per una storia intrisa dal retrogusto cavalleresco. Per difendere la zolla di campo è necessario un lavoro di imbrutimento: il grugno che prevale sull’eleganza, il calcione ben piazzato che prevale sul tocco liftato. Essenzialità al potere, sublime.
L’oscura indole di chi deve tutto alla rabbia e alla foga: il mediano.
Una stagione e mezza con l’Ippocampo marchiato a fuoco su un cuore di stoffa, nell’era in cui la lana ha ceduto il passo all’acrilico. Tanto vale per farsi ricordare, giù il cappello quando si parla di Giuliano Melosi.
Il centrocampista lombardo rappresenta l’antitesi dell’estetica, una rivoluzione che sfocia nel totalitarismo: la muscolarità è il marchio di fabbrica. Il popolo dell’Arechi tutto questo lo sa e, del resto, non chiede nulla di meglio.
Una stagione e mezza, dicevamo, 46 presenze e 4 gol. Questa storia, però, esula dai residuati bellici della statistica. Questa è una storia di nervi e rincorse, recuperi e combattività. Le reti, merce rarissima per chi ha affidato la sua anima al diavolo e alla linea mediana. Come dimenticare, però, quel rigore in movimento calciato sotto la Sud, contro l’Ancona, a cinque giri di lancetta dal termine. Come dimenticare la posa da spartano, carreggiate di vene che, mentre si godono il meritato tributo di una gradinata che cola come un denso Acheronte granata, quasi esplodono.
Tanto – e molto altro – è bastato a Melosi per entrare di diritto nel cuore dei tifosi granata. 7 MELOSI (poi 77) campeggiava sulla casacca, 11 MELOSI gridava invece a gran voce il popolo granata.
La proiezione di ogni aspettativa, il guerriero di ruggine e sangue che ogni tifoso vorrebbe al suo fianco. Anche l’interdizione, tutto sommato, è arte.