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Dalla provincia russa a Roma, passando per il golfo di Salerno: cronache dal sottobosco.

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“Basta! – disse in modo solenne –  Basta miraggi, basta finte paure, basta fantasmi!… Esiste la vita”.

“Era una notte buia e tempestosa”, scriverei mentre ”Dance of the knights” di Prokofiev batte lugubre sullo sfondo.

Così inizierei se fossi Snoopy, armato di macchina da scrivere e tutta l’ispirazione di questo mondo.

Proverò, però, in maniera del tutto bislacca, a costruire un parallelo fra la parabola istituzionale di Claudio Lotito e le vicende di Pavel Ivanovič Čičikov, personaggio di fantasia scaturito dalla penna di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, uno dei principali esponenti del realismo russo del XIX secolo.

La letteratura è percorso di vite vissute a ritroso, evidenzia pochezze e limiti del genere umano.

Il buon romanziere è colui che, immergendosi in terza persona fra le trame dell’esistenza, miscela comico e drammatico: tutto scruta, nulla infrange e tutto delinea.

I margini fra reale e immaginato sono davvero labili, così come i confini che intercorrono fra le dichiarazioni e le azioni del co-patron granata.

Punti in comune del nostro racconto: la struttura dei protagonisti, il piacere per la tavola imbandita, l’assoluta devozione ai girotondi di potere e la propensione alla dottrina arrivista.

Da un lato la Grande Madre Russia di Nicola I, battuta da colera e carestie. Dall’altro i salotti di Roma – il golfo di una succursale sdraiata sul mare – battuti dal suono strascicato delle innumerevoli riforme, dell’assiduo bofonchiare e delle promesse disattese.

Reale e inventato, dicevamo, si incastrano alla perfezione: Čičikov e Lotito sono due piccoli proprietari terrieri che covano l’ambizione – neanche troppo nascosta – di guadagnare il più possibile attraverso stratagemmi poco ortodossi, sfruttando vuoti giuridici e falle istituzionali.

La Russia del 1835 – anno di uscita de “Le anime morte” – è cartolina di strade sterrate e distanze siderali fra i centri abitati, è un insieme di stenti destinati ai contadini mentre gli storioni, boccheggiando con gli occhi traslucidi, abbondano sulle tavole dei notabili che vestono la marsina di chi, impunemente, affama.

Un mondo arcaico, in cui l’austerità imposta cozza profondamente con lo stile di vita dissoluto dei ceti sociali più alti. Settanta primavere, del resto, separeranno il malcontento contadino dall’esplosione preliminare della prima rivoluzione (di cui oggi si festeggiano i 116 anni) con cui le armate socialrivoluzionarie proveranno a porre un argine allo strapotere imperiale nel gennaio 1905.

Čičikov e Lotito, anime gemelle che la letteratura mette a confronto. Nel mezzo uno sfacciato sistema per garantirsi quelle proprietà a cui oggi aggiungeremmo, in maniera serafica, il prefisso “multi”.

Il primo –  Consigliere di Collegio – batte le campagne riarse dal gelo per acquisire, a poco prezzo, un gran numero di servitori della gleba. Tutto legittimo, se non fosse per il fatto che si tratta di anime morte, appena censite ma ancora tassate: contadini che non hanno resistito ai morsi della fame, del morbo e ai rigori dell’inverno. L’obiettivo è quello di divenire assegnatario di un maggior numero di terre e benefici. Le anime, nel complesso, rappresentano un grosso capitale da ipotecare. Il secondo – Consigliere federale – in modo del tutto simile, provvede a mettere le grinfie sul capezzale di ogni feudo per cui batte la campana a morto del fallimento. Accaduto a Salerno (lo sappiamo benissimo) nell’estate del 2011, così come la scalata – categoria per categoria fino alla stasi attuale – si è rivelata propedeutica al raggiungimento di scranni di potere e, appunto, incarichi federali.

Nonostante “Le anime morte” sia uno dei capisaldi del realismo russo, non è raro ritrovarsi proiettati fra scenari che al reale restituiscono poco. Colpa delle distorsioni del protagonista o del carattere dei personaggi secondari?

La domanda, tutto sommato, è retorica. Circostanze uguali si vivono nella nostra Salerno da più di un decennio. Le solide realtà, ventilate urbi et orbi, si perdono fra le trame di un sottobosco che dall’ieri al domani, passando per l’oggi, chiameremo interessato disinteresse.

Si spera, artificio letterario non sottovalutabile, di assistere al più classico dei finali gogoliani: la fuga.

“L’avarizia, com’è noto, ha una fame da lupo, e quanto più s’ingrassa, tanto più si fa insaziabile”.

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Nato nel '90. Due passioni governano i moti del cuore e, molto spesso, confluiscono l'una nell'altra: Salernitana e poesia.

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