Uno dei quesiti calcistici dominanti in città, quando siamo ormai giunti quasi agli sgoccioli della sessione invernale di calciomercato, è quello relativo alla necessità di reperire un attaccante da inserire nel roster offensivo granata.
Se il ragionamento fosse di natura numerica e solo marginalmente di matrice tecnico-tattica, potremmo affermare, anche alla luce della convincente prestazione di Gondo contro il Pescara, che le quattro punte presenti in organico sono più che sufficienti per affrontare il girone di ritorno e terminare la stagione con un discreto risultato. Ovviamente, il ragionamento potrebbe esser valido se lo modellassimo su un obiettivo vago e indefinito, del tipo ‘‘proveremo a restare in alto con quanto abbiamo in casa”.
Ben diverso sarebbe il discorso se, alla luce della seconda posizione in classifica, le prospettive dell’immediato futuro fossero focalizzate sull’intenzione autentica di approdare nel primo campionato del calcio italiano.
Al netto delle assai opinabili considerazioni ascoltate in questi giorni sulla non indispensabilità di Tutino – il calciatore più forte, per distacco, dell’intero organico granata, l’unico del reparto offensivo in grado di calciare in porta con cattiveria e precisione e, soprattutto, di inventare un gol dal nulla, come testimoniano le sei realizzazioni (ed i 4 assist) del girone d’andata – è forse giunto il momento di affrontare nel dettaglio il ruolo di Milan Djuric all’interno del progetto tecnico e tattico della compagine granata.
La generosità e l’utilità dell’ariete bosniaco, nell’economia del calcio di Castori, è sotto gli occhi di tutti. Una squadra, la Salernitana, che fa fatica ad esprimere un gioco lineare, codificato su trame oliate, imprevedibili ed efficaci, non può fare a meno della presenza dell’ex attaccante cesenate. Se lui non ci fosse, il disegno tattico povero di idee offensive realizzato dal tecnico marchigiano naufragherebbe completamente.
La causa dell’assenza di gioco – si sente dire in giro – è da ricercare in un centrocampo muscolare e fisico ma povero dal punto di vista tecnico. Possiamo tranquillamente affermare che anche questo assunto di base è una conclusione teorica poco aderente alla realtà del campo.
Massimo Coda, pur giocando con centrocampisti poco dotati dal punto tecnico, ha espresso nel biennio salernitano tutta la sua qualità calcistica, sia nel rifinire che nel finalizzare l’azione. Diversi centrocampisti dello scorso anno, inoltre, sono presenti anche nel gruppo alle dipendenze di Castori.
La differenza, pertanto, risiede nella capacità o meno di produrre un calcio coraggioso e propositivo, caratterizzato da sovrapposizioni, inserimenti senza palla, ricerca della superiorità numerica.
Lo scorso anno, l’organico comprendeva Akpa Akpro, centrocampista d’inserimento e dinamico, non esattamente un facitore di gioco flemmatico e illuminato. Quest’anno è andato via il calciatore ivoriano, ma la voce qualità si è arricchita di due tasselli, Anderson e Tutino, che in questa categoria hanno dimostrato di poter fare la differenza.
In questa stagione si stenta ad essere propositivi, nel campionato scorso, la squadra, pur dimenandosi tra alti e bassi – quest’ultimi figli soprattutto di una difesa inadeguata per un campionato di serie B, al contrario di quella a disposizione di Castori – non rinunciava a proporsi con idee e determinazione nella metà campo rivale.
La conclusione dell’intero ragionamento è, in soldoni, che Djuric diventa importante in una squadra incapace di produrre calcio. La sua importanza, però, deve essere messa in relazione all’assenza di idee e coraggio del tecnico. Un’importanza, quindi, che, nei fatti, diventa spesso un limite, in quanto deresponsabilizza mister e calciatori rispetto alla necessità di rendersi protagonisti ai fini di una proposta offensiva più variegata ed efficace.
Tirando le somme: alla Salernitana, per reggere il passo delle grandi e scongiurare il rischio di un attacco destinato ad inaridirsi per troppa prevedibilità, occorre una punta centrale in possesso di qualità che, oggettivamente, non trovano spazio nel bagaglio calcistico dell’ex attaccante cesenate.
Djuric non è mai stato un goleador di razza, come testimoniano le 78 reti realizzate in circa 400 apparizioni da professionista. Anche in questa stagione il suo bottino è, al momento, estremamente magro: 4 reti, di cui 2 su rigore, sono un trend decisamente distante dai classici 18-20 gol normalmente realizzati dalla punta centrale di una squadra che vorrebbe vincere il campionato.
Djuric è fondamentale, grazie alla sua fisicità, nel rendere potabili i palloni sporchi scaturiti dal non gioco di Castori, ma, una volta compiuta quest’operazione, i destini dell’azione offensiva granata sono interamente affidati all’estro dei compagni che gli gravitano intorno; l’attaccante bosniaco, infatti, esce dall’azione e fatica a rientrarvi per carenza di rapidità e velocità.
Djuric agisce al servizio della squadra, ma va in difficoltà quando deve giocare con la squadra, perché non possiede la cifra tecnica per dialogare con i compagni palla a terra o per indossare i panni di rifinitore, come testimonia l’unico assist stagionale (aereo) sfornato proprio nell’ultima gara contro il Pescara.
Djuric gioca prevalentemente con le spalle rivolte alla porta, non attacca la profondità, raramente si muove senza palla tra le linee e lungo le corsie laterali. Spizzato il pallone ed eseguita la sponda, il suo contributo nel prosieguo della trama offensiva non prevede una nuova partecipazione, sia in fase di rifinitura che di finalizzazione.
Pertanto, bisogna essere sicuramente riconoscenti con il lavoro svolto dal generoso Milan, grazie al quale il non gioco di Castori trova una soluzione di partenza (non determinante, in quanto è la qualità dei solisti a fare successivamente la differenza vera) che rende meno evidente la difficoltà della squadra ad essere protagonista sul piano della costruzione del gioco.
Allo stesso tempo e con estrema franchezza, bisogna avere l’onestà intellettuale di affermare che gli eventuali progetti ambiziosi (esistono?) della società non possono viaggiare separati dall’acquisto di una punta prolifica, mobile, tecnicamente valida, in grado di dialogare palla a terra con Tutino, Cicerelli, Anderson e Kiyine; un attaccante che, oltre alla potenza fisica, possegga lo spunto individuale in grado di spaccare la partita ed un repertorio realizzativo che vada ben oltre l’incornata vincente resa possibile da un perfetto traversone proveniente dalle corsie laterali.
Cinque giorni per colmare una lacuna che rischia di compromettere una stagione potenzialmente vincente. Il mancato arrivo di una punta di spessore, con caratteristiche diverse da quelle di Milan Djuric e capace di valorizzare pienamente il talento di Tutino, rappresenterebbe una sorta di pietra tombale sui sogni promozione, timidamente covati da una piazza troppo disincantata e scettica per lasciarsi trainare da un entusiasmo che la società granata non riesce ad alimentare.