Le ultime quattro partite disputate dalla Salernitana, terminate con altrettanti pareggi, certificano in maniera definitiva un principio base del calcio di Castori: la squadra granata lega le sue fortune alla capacità di essere cinica nell’arco dei novanta minuti. Cinismo o, se preferiamo, concretezza in entrambe le fasi di gioco, senza i quali si rischia di veder Di Tacchio e compagni diventare una macchina vulnerabile.
Ne è testimonianza la consapevolezza, analizzando i quattro match archiviati, che i pareggi ottenuti sono sempre stati in bilico tra l’apoteosi della vittoria e la sofferta impotenza della sconfitta. Il cinismo, in sostanza, è frutto di individualità, presenti in difesa e in attacco, capaci di difendere o colpire nei momenti salienti del match. Un cinismo, però, che non riesce ad essere qualcosa di diverso da sé stesso, perché raramente è supportato da una filosofia di gioco, basata sull’imprevedibilità collettiva e l’intensità, in grado di sostituirsi ad esso.
Pertanto, la Salernitana affida il proprio destino alla capacità di capitalizzare il suo gioco estemporaneo, costituito da una manciata di episodi favorevoli. Quando riesce nell’intento, risultando allo stesso tempo tenace ed attenta in difesa, pur soffrendo il costante possesso palla dell’avversario, gli uomini di Castori portano a casa i tre punti della vittoria e alimentano un sogno che abbandona i lidi dell’irrazionalità e naviga verso una realtà insperata. Quando, al contrario, la squadra fatica a trovare la giocata vincente all’interno di una gara fisica e ‘ruminata’ fino all’estremo, le sue carenze strutturali, non colmate dalla società, e l’assenza di uno spartito propositivo, mai trasmesso dal tecnico, palesano inevitabili difficoltà anche contro avversari decisamente alla portata. Perché tali sono da considerare Reggina, Pisa e Vicenza.
Le certezze positive: una classifica estremamente intrigante che strizza ancora l’occhio alla promozione diretta e che, nella peggiore delle ipotesi, dovrebbe garantire il primo play off in B della gestione Lotito. Ma anche un gruppo affiatato e combattivo che mai si abbatte e, supportato da spirito di sacrificio e volontà, cerca di restare aggrappato al plotoncino di squadre considerate favorite alla vigilia del campionato. Basteranno questi ingredienti per servire la pietanza attesa impazientemente dalla tifoseria? La ragione continua a sostare in una sorta di scetticismo speranzoso. La fede, meno esigente e più fedele alle emozioni cieche dei momenti esaltanti, intravede il traguardo e invita a credere nell’impresa.
Le certezze negative: il timore, fondato ed estenuante dal punto di vista psicologico, di veder approdare una stagione potenzialmente vincente nel solito porto anonimo e indigesto in cui la navicella granata ha concluso la sua precedente navigazione quinquennale. Le omissioni in sede di potenziamento tecnico, che rappresentano un’aggravante per una proprietà macchiata di recidività, costringono la speranza di essere smentiti a viaggiare di pari passo con l’oggettiva perplessità della valutazione tecnica suggerita dal terreno di gioco. La testardaggine di Castori, al momento premiata dal rettangolo verde, di non voler inserire nella sua visione di formichina laboriosa anche l’acuto piacevole di qualche cicala che, parcheggiata con continuità in panchina, rischia di immalinconirsi, smettere di cantare e non favorire l’avvento della primavera calcistica granata, desta più di un dubbio.
La partita di ieri, copia più o meno aderente alle ventidue precedenti esibizioni, ha registrato pregi e difetti ormai noti a tutti. Nel campo dei pregi, al di là del rigore sbagliato, inseriamo la prestazione di Gennaro Tutino. L’attaccante napoletano ha affrontato la gara con la giusta cattiveria agonistica, esibendo una qualità tecnica superiore alla media della categoria e, soprattutto, numeri da calciatore in grado di spaccare la partita con una giocata individuale. Una follia pensare di poterne fare a meno, considerato che l’ex cosentino è l’ unico elemento del roster offensivo capace di calciare in porta con efficacia e discreta continuità. Senza la sua presenza in campo, le già ridotte possibilità di colpire l’avversario diminuirebbero ulteriormente. Resta sostanzialmente affidabile anche la tenuta difensiva, soprattutto quando l’attenzione è massimale e non rischia di pagare dazio ad un approccio sbagliato (minuti iniziali con il Vicenza caratterizzati da incertezze nel gioco aereo e nel presidio dei propri sedici metri).
Tra le note negative occupa uno spazio importante l’ormai atavica difficoltà a produrre un calcio intenso e continuo sul piano dell’ imprevedibilità. Se nell’undici base ti manca la qualità sulle corsie laterali, il centrocampo è essenzialmente di quantità e la punta centrale non riesce ad andare oltre il consueto impegno nel corpo a corpo con i difensori rivali, diventa mera utopia credere di poter alzare l’asticella in chiave promozione. Anche perché rischi di far annegare nel grigiore un calciatore come Tutino, sempre più frustrato nella consapevolezza di non riuscire a dialogare tecnicamente con il resto della squadra. Castori ha il dovere di coinvolgere nel finale di torneo anche i calciatori più estrosi, che stanno arrugginendo muscoli e motivazioni in panchina. Magari cambiando parzialmente l’assetto tattico, se non vuol correre il rischio di arrivare al termine della lunga traversata con una corposa dose di rimpianti stretta nel pugno.