Non è facile, non lo sarà per settimane. Ma quale altra cura se non ricominciare a scrivere, perseguendo quell’ideale che neanche la nuda terra potrà ammutolire.
Un addio è lacerazione interna, è anima che si sfibra, è una milonga che squarcia il silenzio.
Il gelo di metà febbraio è un Boa constrictor che avviluppa la cassa toracica e, laddove il respiro tarda a ricomparire, fa scendere l’inchiostro. Esistono battaglie che non valgono il peso delle stagioni, esistono facce che si rincorrono fra memoria e chiasma ottico, velleità di ritorno al normale. Ma il dolore presenta il suo conto e la notte è per chi sa tenere gli occhi sbarrati.
Ci eravamo lasciati parlando delle solite cose, storture e inganni. Imbarazzi d’alta quota e stupide faziosità, minuzie. Tutto ciò che ora appare così inutile e vuoto, considerato l’universo senza suoni in cui siamo piombati a piè pari poche ore fa.
Ché la morte è sovrimpressione dell’amigdala, è l’apoteosi dell’incomunicabilità, è tutto quanto non possiamo permetterci. Allora tanto vale rimboccarsi le maniche, rispolverare il cuore dai detriti e provare a procedere lungo il percorso che avevamo tracciato.
C’è, nella risacca di queste ore, più di una scialuppa che ci tiene ormeggiati con lo sguardo alla terra ferma: vietato farsi risospingere al largo delle malinconie.
Ma forse sto andando oltre, tu sei – il presente è tassativo – pragmatico e poco avvezzo alle cerimonie. Avresti voluto una rapida scrollata di spalle, un breve saluto e giù, a capofitto, nella stesura degli impegni con la redazione. Ne sono certo.
A noi cosa resta, se non continuare a coltivare, con dedizione, il progetto che avevi fortemente voluto. A me restano, ad esempio, i consigli in privato che continuo a far scorrere su e giù per lo schermo, come se nulla fosse cambiato. Solo ora, nella consapevolezza che ne mancherà seguito, mi accorgo di quanto fossero preziosi, così come le preghiere di porre un piccolo freno alle mie intemperanze linguistiche – oggi gli spigoli della bocca formano una curva così amara – e all’impulsività mal repressa che, in fin dei conti, ti faceva sorridere.
Oggi non parlerò d’altro, di tante parole scelgo un mutismo selettivo, selettivo dell’assenza.
Mi perdonerai. Domani tornerà il sole e tu, dall’altrove, sarai presente. Ci metto la mano sul fuoco.
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