– What’s wrong?
I dare you to do something!
– Do what?
I dare you to call me a Wop!
Il forno di Bewristz, profumato e fumante. Poi la bottega di Lenkovsky l’orologiaio, perennemente curvo sul monocolo. Infine -quando il marciapiedi fa angolo con Canal Street- la drogheria di Colley: ubriacone rubicondo, vomitato a New York City dalla carestia irlandese. Lo sfida a venir fuori Rocco Barbella: s’è fatto grande nella strada, è il momento di farlo piangere. Da piccolo, la mamma lo mandava a far la spesa ed il bastardo non mancava d’umiliarlo: per le origini, si capisce. Dago! gli diceva, chè gli Italiani hanno la coltellata facile. Più spesso Wop, WithOutPassport. E giù calci, a cacciarlo dall’emporio. Non ha mai detto nulla a casa, ma il sangue ha riempito gli occhi. Giorno dopo giorno la rabbia ha armato i pugni. Colley s’è guardato bene dall’uscire.
Non che papà Nicola, fuggito dalla miseria degli Abruzzi per incontrarne un’altra, lo trattasse meglio. Cinesi, Ebrei, Ucraini, Persiani: il Lower East Side degli Anni Trenta è il cancello d’ingresso all’America. Uno peggio dell’altro, ma i peggiori di tutti sono gli Italiani. E chi ci discute, con quelli?
Condannato nei tenements, Rocco fugge al sovraffollamento, alla puzza di chiuso, ai lavatoi comuni: lo accoglie la strada. Tra strilloni, facchini e fannulloni, dove tutto è degrado e povertà, lo abbracciano crimine e violenza.
I never stole nuttin’ unless it began with an ‘A’: a truck, a car, a wallet…
La scuola la lascia presto, è in strada che si fanno i soldi: furterelli dapprima e poi estorsioni, il ventaglio del malaffare è variopinto. La vulgata, tuttavia, s’accorge della Roccia: è il più forte e spietato combattente di strada che l’East Side ricordi. Un pugno che butta giù chiunque.
Se i Santi Numi dei boxeri frequentano altari malfamati, quelli di Rocco non fanno eccezione. Il giovanotto battezza i primi riformatori, prova con l’esercito ma figurati: insubordinazione, botte ai superiori, carceri militari. Torna nella strada, poi di nuovo in prigione. Ancora fottuti Irlandesi a pestargli i piedi, altri pugni ed altri denti che volano. Senza motivo apparente, le guardie non sedano la rissa ma sarà chiaro poi: lassù, qualcuno lo ama. Uno dei secondini ha una doppia vita: organizza incontri di pugilato. Clandestini suppongo, o giù di lì. Lo guarda picchiare, dapprima sbanda poi s’illumina.
Cosa ne dici di infilare quella dinamite in un guantone?
È il giorno che cambierà tutto quanto si possa cambiare ad un uomo. A cominciare dal nome. Con quei precedenti, chi vuoi che dia a Rocco Barbella la licenza per combattere? Rocky Graziano, destinato alla leggenda dei pesi medi, si scrolla di dosso il nome d’un padre che tra botte e bottiglia non s’è fatto amare. Feroce combattente quanto disinteressato alla guardia alta, ignorava i colpi incassati e ripartiva d’incontro: resta in piedi chi resta vivo. Come nella strada. Per nulla tecnico e nemmeno stratega: una fucina di cazzotti, cannibale alla selvaggia ricerca del sangue.
Passa professionista e comincia ad abbatter avversari: la prima grande occasione contro Billy Arnold, imbattuto campione di Filadelfia. Per due round prende pugni devastanti: ma resta in piedi, ed al sesto lo butta giù. Tra gli spettatori, uno sgomento Harry Truman: palcoscenico esilarante, la vita. Quegli stessi cazzotti che presupponevano fughe dalla polizia ora ricevono gli osanna del Presidente fin dentro le mura scrostate dello spogliatoio.
Non sarà l’omaggio più eclatante, peraltro. A Chicago, ha appena frantumato la mascella di un Jene Burton qualsiasi: bussano alla porta. Lui sbuffa ma i visitatori non sono soliti attendere il permesso: entra una montagna, poi un’altra e dopo il silenzio. Al Capone ha ottenuto una licenza da Alcatraz giusto per vederlo combattere: gli impone -con lo sguardo, mica altro- di accettare un anello il cui valore non so dirvi, ma vendendolo ci comprereste casa.
Rocky Graziano nasce nella feccia e si ritrova protagonista di una sceneggiatura della quale è forse eroe, magari antieroe: in cui, tuttavia, non può mancare la nemesi. La sua, ha origini polacche.
Antoni Florian Załęski è pugile cerebrale come mai s’erano visti: esatto opposto di Graziano, eccelle per sangue freddo ed impassibilità. Uomo d’Acciaio, per gli Americani è Tony Zale. Maestro dell’arte della boxe, a fine carriera sarebbe diventato un buon allenatore. Avvierà al ring un Azero fuggito all’invasione anglo-sovietica in Iran, argine all’avanzata di Hitler. Si chiama Emmanuel Aghassian, ripara in qualche modo negli States ma gli troncano il cognome: stremato, non contesta e se lo tiene. Partecipa alle Olimpiadi di Londra ed Helsinki, poi trova lavoro al Caesars Palace di Las Vegas. Avrà quattro figli, il primo dei quali è Andre: impugnerà una racchetta e conquisterà il mondo col cognome Agassi. La boxe è il capitolo più puro della Teogonia, perdonerete la parentesi.
La trilogia con Tony Zale segna l’apice della carriera di Rocky Graziano e riscrive la storia stessa del pugilato: Pathos prende in prestito i guantoni per tre incontri, intinge la piuma d’oca nel calamaio di sangue e li rende all’Universo sotto forma di Poesia.
La prima volta, l’Intelletto domina la Forza Bruta: vince il Polacco. Succede, ma non sempre. Rivincita: Rocky Graziano lo prende sotto e letteralmente lo massacra, strappandogli la cintura dei Pesi Medi e straziandone i connotati. La bella è un epinicio: dura soli tre round, Zale si riprende la cintura ma è francamente un dettaglio. Una danza di nove minuti sul filo che separa vita e morte. Di entrambi. I due si prendono in tutti i modi possibili: Zale gli apre un sopracciglio, Rocky gli spacca una tempia. Zale gli fa saltare un dente, Rocky gli rompe il naso. Graziano -come di consueto- si disinteressa del titolo e boxa per uccidere. Porta i colpi ed urla il peggio possa uscire dalla bocca di un uomo. Avesse potuto lo avrebbe morso, scalciato, tutto pur di vederlo al tappeto, vivo o morto non ha importanza. La foga, la rabbia, la ferocia di Rocky vanno a sbattere contro il montante sbagliato: gli Dei del Ring avevano dettato un’altra storia che non fosse la sua.
A match concluso, grondanti sangue si fanno ancora incontro: stavolta per abbracciarsi. Si stavano ammazzando, adesso si baciano. Inutile arrovellarsi: i pugili sono bestie di classe, e più non dimandare.
La carriera di Rocky, se vogliamo, finisce lì. Una storiaccia come tante, di mafia e di combine, porterà alla revoca della licenza per omessa denuncia.
Quello che ho vinto non possono togliermelo sul ring: sono stato fortunato. Lassù qualcuno mi ama
Nel 1956, Robert Wise dirige la trasposizione su pellicola di quello che era già un film, sebbene Rocky la chiamasse vita. Ad interpretarlo è designata una star affermata ma il protagonista è sempre Fato: James Dean muore in un incidente stradale e la parte va ad un giovanissimo Paul Newman. Lo consacrerà alla Gloria di Holliwood.
Quella che sembrerebbe una Storia di Sport è in realtà Parabola di Riscatto.
I benpensanti dell’epoca apposero la nefanda etichetta di Lung Block –Blocco Polmonare– alla parte italiana del Lower East Side. Gli Immigrati Italiani passarono alla letteratura come i più degradati tra i nuovi arrivati europei: non del tutto bianchi, illetterati a proprio agio in un porcile. Furono descritti quali abietti, miserabili e sempre ubriachi. L’isolato fu tratteggiato come esotico covo infettivo di tubercolosi, popolato da scimmie e pappagalli, pericolo per la salute di chi ci abitava e della città tutta. Perché vedete, la Storia è la puttana di chi la scrive, e gira e volta si mostra sempre uguale. Com’è, come non è la speculazione funzionò: qualcuno comprò a poco e dalla riqualificazione trasse i miliardi.
La sudicia etichetta accompagnò gli Italiani nella Mela a lungo. Il feretro di Rocky Graziano, nel 1990, fu accompagnato dall’intera Comunità ItaloAmericana dell’East Side.
Rocco era uno di loro. Anche grazie a Lui, ce l’avevano fatta.
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