Quando il direttore di gara emette il triplice fischio, l’analisi del match della Salernitana si risolve in un’eterna lotta tra sensazioni ed impressioni opposte.
L’orgoglio che scaturisce dall’aver visto all’opera una squadra concentrata, determinata, coesa tatticamente e reattiva sul piano atletico, infatti, si scontra puntualmente con una miscela di rimpianto e impotenza dettata dalla consapevolezza di una partita ampiamente alla portata ma non capitalizzata sul piano del risultato.
Poi arriva il momento di un’elaborazione più approfondita dei novanta minuti e il dubbio sulla condotta complessiva finisce sempre per insinuarsi. La domanda è sempre la stessa: se avessero osato di più, i granata sarebbero riusciti a spuntarla sui colleghi emiliani? Probabilmente si, ma, mentre rispondi affermativamente, l’altra faccia della medaglia si palesa ed impone un altro interrogativo: se Castori abbandonasse una dose importante del suo pragmatismo, impegnato ossessivamente a preservare gli equilibri tattici e difensivi, avrebbe calciatori di qualità in grado di fargli vincere la gara senza intaccare la solidità della fase difensiva? Le certezze, a questo punto, vacillano e ti fanno concludere l’intero ragionamento con una moderata soddisfazione, che trae nutrimento dai quattro punti realizzati in due trasferte e dalla conferma della squadra nelle zone alte della classifica.
Castori ha ormai deciso di giocarsela così: concedere poco agli avversari – qualche tiro dalla distanza, mai capaci però di calciare a tu per tu con il portiere granata – e poi affidarsi ad una manciata di episodi che, nobilitati dall’estro di Tutino, possano confezionare il colpaccio da tre punti.
La grande novità rispetto al passato è proprio questa: la difesa, protetta dall’incredibile lavoro di copertura garantito dal podismo grintoso di Coulibaly, Di Tacchio e Capezzi, rischia sempre meno. Sono ormai un pallido ricordo le difficoltà della squadra ad arginare il giropalla avversario che, spesso e senza eccessiva difficoltà, trovava l’imbucata tra le linee e gli affondi sulle corsie laterali. La protezione assicurata dai tre arcigni mediani granata, infatti, trasmette sicurezza agli stessi difensori che, giocando raramente a palla scoperta, hanno spesso la meglio sugli attaccanti rivali, esibendo tempismo, cattiveria agonistica e feroce concentrazione.
Per fare la differenza e recitare da autentica protagonista, però, la Salernitana necessita dell’indispensabile giornata di grazia del buon Gennaro Tutino, unico calciatore in rosa che, non intaccando la muscolarità della mediana e i conseguenti equilibri tattici, riesce ad esaltare il copione intriso di cinico realismo che Castori ha deciso di far recitare ai suoi uomini in questa stagione.
Apprezzando le potenzialità dell’attaccante partenopeo, spesso costretto a predicare nel deserto a causa dell’assenza di un partner in grado di valorizzarlo con continuità, il tifoso granata non può non interrogarsi sulla cecità dell’operato societario nella recente sessione invernale di calciomercato. Sarebbe bastato davvero poco per affrontare l’ultimo scorcio di stagione con una faretra gremita di frecce più efficaci nel fiaccare gli avversari sulla strada che conduce al traguardo finale.
Però, giunti a questo punto della stagione, in attesa che si completi il venticinquesimo turno, con l’attenzione rivolta soprattutto al big match tra Monza e Cittadella, non resta altro comandamento da seguire che non sia quello di riuscire a fare di necessità virtù e di provare ad ottenere il massimo attraverso i punti di forza esibiti dalla squadra nel suo recente percorso.
Le squadre che esprimono una proposta offensiva scarsamente variegata, riescono di rado ad imporsi sulla concorrenza.
Altrettanto vera, però, è la consapevolezza che il gruppo capitanato da Di Tacchio, esprimendo doti temperamentali e morali fuori dal comune, rese ancora più evidenti dalla coesione che regna all’interno dello spogliatoio, potrebbe riuscire nell’impresa di ribaltare un pronostico che, rafforzato dagli imperdonabili errori dirigenziali, lascia poco spazio alla speranza e alla fantasia.
Ormai ci siamo: dopo cinque anni disastrosi, forse è il caso di spegnere la ragione e lasciare maggiore spazio ad una fede cieca che imponga a se stessa di non porsi domande. La società non merita questo atto di fede incondizionato, i giovanotti granata sicuramente si.
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