Procede così, di balzo in balzo, l’ennesima vigilia. La settimana è scivolata via senza troppi scossoni. Punti di contatto col reale, l’incedere da mesta formichina che già troppi punti ha lasciato sul prato.
Martedì, psicosi da infrasettimanale, la cabala si è rivelata nemica e condanna. L’imponderabile savoir-faire degli 11 metri, prima Djuric, poi Tutino, poi Di Tacchio. Se volessimo affidarci alla cinematografia: Travolti da un insolito destino nel grigiore del girone di ritorno. Oppure potremmo affidarci alla, più fredda, matematica: cambiando il numero degli addendi, la somma – guai a dirlo – non cambia.
Ci si ritrova qui, sotto la bandiera degli intoccabili, mentre un senso di apatia ci ha martoriato i timpani. Sarà il sentore di un’altra primavera negata? Il Covid c’entra, così come quel destino che, vuoi o non vuoi, sembra sempre scritto.
Una nuova trasferta, poco attesa per la verità, si srotola sul percorso dei granata. Nel feudo di Stradivari si gioca contro l’indifferenza, il timore, la paura di riscoprire fragilità accantonate.
Nel feudo di Stradivari, dicevamo, si dà il “La” ai virtuosismi o si naufraga nel solito andante, un lamento.
Repetita iuvant, si diceva sulle sponde del Tevere. Mica tanto, verrebbe da aggiungere.
A dar vita a una settimana scialba, in controluce, le solite dichiarazioni, il solito tono ecclesiastico di uno dei co-patron, quello che un tempo parlava meno. Ma, si sa, durante la settimana di Sanremo le cover sono pane quotidiano. La voglia di apparire pure.
Cartoline, scivolano inconsistenti come i giorni.
Dalle fughe claudicanti di Castori alle parole di Capitan Di Tacchio, dagli errori arbitrali – consuetudine umana del gioco – all’animo da piccola fiammiferaia che si insinua laddove gli argomenti languono. Si sbiascicano accuse, si grida allo scandalo, ci si autoinfligge silenzi – magari!!! – per un fischio negato.
Tutto ciò che, alla lunga, stanca e svuota. Disquisire del nulla, competizione farlocca e scarsa varietà linguistica.