Entri in salotto, tuo figlio sta vedendo delle immagini in bianco e nero. Lui sta vivendo quella fase in cui, oltre a seguire i Social, comincia a scavare negli avvenimenti che sono successi qualche anno prima.
Ogni tanto si gira e aspetta che cominci a raccontare.
Torino di Piombo, lo speciale di Matteo Marani è una scusa. Una scusa per tornare a quando ero poco più piccolo di adesso e di quando a casa scoppiavano i tumulti per chi dovesse leggere il Guerin Sportivo.
È una scusa per risentire canzoni così:
Ok, che cosa volete?
Tenevo 10 anni. I Clash sarebbero venuti dopo.
Certo, ci stava la Salernitana con i presidenti che arrivavano, incassavano gli abbonamenti e scappavano con la cassa.
Ci stava pure una scritta:
ESPOSITO, VITULANO NON SI TOCCA!
Ma nel paese succedevano altre cose. Intanto si sparava. O proiettili nelle gambe dei giornalisti o eroina nelle vene.
Ci stava l’avvocato, ci stava la Marisa: Boniperti Giampiero da Barengo. Astuto e potente, il braccio armato della famiglia Agnelli nel mondo del calcio.
Uno che vedeva lontano: una volta Ormezzano raccontò che, mentre era in trattativa per un aumento, fu accolto da Agnelli nel casale di campagna. Lui vide la fattoria e disse: “Va bene Avvocato, per ogni goal mi da come premio un vitello femmina”.
La Marisa diventò uno dei più importanti produttori di carne Fassona. Incarnava lo spirito Sabaudo di Torino. I suoi giocatori venivano pagati poco, comprati a poco e rendevano tanto.
E dovevano avere anche i capelli a posto. Anzi, adatti ad un atleta.
Di contro, il Torino di Pianelli Orfeo.
Uno che si era fatto da solo. E che era arrivato ad avere una commessa dall’allora dirigente del PCUS, Leonid Brežnev, per dei lavori nello stabilimento di Togliattigrad.
I tifosi del toro erano quelli che parlavano in dialetto piemontese. Che lavoravano come quadri o dirigenti in Fiat. Che vivevano da generazioni e passavano il sabato a passeggio per il corso, per poi andare a prendersi una cioccolata calda.
Ecco, mentre continuavano a scorrere le immagini, le voci e le facce mi sono detto:
“Cazzo, quanto ero ingenuo. Mi piacevano e dopo mi sarebbero stati sulle palle. Mi piaceva Bettega e non Pulici. Anni dopo ho capito che Bettega mi stava sulle palle e Pulici era veramente forte. Tifavo per la Juve e non per il Bilbao. Adesso non chiedetemi neanche per chi avrei tifato”.
Ecco, la Torino che era esplosa. Torino, divisa tra operai in fermento e impiegati che volevano tornare a lavorare.
Torino che era in cassa integrazione, una città sotto assedio per un maxi-processo alle B.R. Laddove i giornalisti venivano uccisi e i giudici popolari rifiutavano l’incarico per paura.
Nei quartieri operai le alternative erano tre: o tifare Juve o entrare nella lotta armata o farsi di eroina.
E una non escludeva l’altra.
Mentre vedevamo il racconto di un’epoca – di uno scudetto giocato punto a punto – mio figlio continuava a girarsi. Si aspettava, da me, particolari su quell’epoca che non avrebbe ricevuto.
Marani stava già raccontando tutto. Più di un libro di storia.
Anzi, meglio.