Partirò, questa sera, da “Zirichiltaggia” di Fabrizio De André. Allego una veloce traduzione dei versi riportati in apertura, dovrebbe risultare più comprensibile.
I messaggi che, solitamente, intendo affidare a queste colonne non sono mai dominati dal caso. Le scelte stilistiche, musicali e lessicali tendono sempre ad abbracciare in modo ampio le tematiche a cui, con pazienza, siamo costretti ad assistere.
La canzone scritta in gallurese, caotica nel suo complesso, riassume una lite tra pastori scaturita per questioni di eredità.
In un certo senso riassume l’ingegnosità e l’alto profilo di chi, in settimana, ha inteso assurgere al ruolo di mediatore tra la piazza cittadina e le istituzioni sportive.
Parliamo di competenze, amabilmente, scavalcate. Lettere, cervellotiche, inoltrate da un conciliabolo di tifosi su un velato input societario. Ma, attenzione, non dalla società di calcio in prima persona. Il classico gioco degli specchi, dei riflessi condizionati o, magari, sospirati.
Se il Chievo Verona, il Vicenza, il Cittadella, il Pisa, il Lecce e la Feralpisalò contestano torti arbitrali, si rivolgono agli organi competenti in prima persona, non per interposta persona. La differenza è abissale.
Un dossier lo redige l’addetto stampa della compagine lesa, non il Gran consiglio dei tifosi animati, indiscutibilmente, da tutte le buone intenzioni di questo mondo. Esistono modi, tempi e forme per garantirsi le tutele necessarie. Serve includere le componenti in maniera ufficiale, evitando di affidarsi agli umori dei commenti – di altre tifoserie e non – sulla pagina della Lega B.
Si svilisce, così, il certosino lavoro di una notte insonne. In questo modo il messaggio non passa, la notte resta insonne e, per giunta, infruttuosa.
Non è cortese, del resto, farsi voce di un popolo senza prima consultarlo: siamo pur sempre in democrazia, sbaglio?
Questa condotta è determinata dalla convinzione di essere stati investiti di chissà quale incarico divino, o – ancor peggio – di ritenersi voce influente sulla bilancia delle questioni istituzionali.
Occorre, altresì, misurare parole e competenze. Accorgersi che, tutto sommato, ci si rivolge all’altare di quegli interessi politici da cui Lotito, Mezzaroma e Fabiani – sebbene si vestano, ad oggi, di discorsi barricadieri – celebrano amorevolmente la messa.
Si rischiano figuracce, laddove certe mozioni trovino – libertà mi impone il beneficio del dubbio – spazio.
Il melodramma architettato su presunte combine – favori elargiti al Monza di Galliani – è assimilabile al pianto, alla mera autocommiserazione. Rappresenta, inoltre, il volersi fasciare la testa prima di romperla, forse una strategia d’uscita nel caso in cui il treno degli eventi non percorra gli scambi giusti.
In quel caso – ogni vero tifoso della Salernitana si augura di raggiungere la massima serie – l’appellativo di “tirapiedi” potrebbe beffardamente ritorcersi contro. La lamentela preventiva e selettiva non è arte che si impara fra le strade di Salerno, tutt’altro.
Magari – in ultima istanza – è necessario sottolineare che, tendenzialmente, appartiene alla tanto detestata sottocultura partenopea.
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