Questo cammino conduce laddove non v’è grazia alcuna, se non quella che provoca il provar di raccontare. Il viaggio iniziò ieri, uno ieri di 700 anni fa.
Per svincolarsi dalla danza macabra servirà smuover la terra e scavare nelle proprie intimità. Fin dentro le viscere del mondo, lì dove urlano e rosseggiano i dannati: noi e loro.
L’eternità è il sentimento liquido del calamaio, è penna d’oca, è alloro e lume fioco. L’oblio non è concesso.
Indossate calzari comodi, coraggio ed umiltà.
Lasciatevi inglobare dall’oltre-mondo. Ognuno sarà solo – compreso chi scrive – a far la conta coi propri difetti, i vezzi, le mancanze, le sofferenze, le vergogne, le pochezze.
Il sonno della ragione genera mostri: si parte da Dante, si persevera con Goya.
Nel mezzo del cammin di nostra vita ecco paventarsi l’oscurità, una salita negata, un sole che muore sul dorso di una collina. A sbarrare il passo tre fiere. Rappresentano i tre peccati capitali.
Capitale, più che il non ritorno della pena, delinea la geografica provenienza.
Il tacito accordo del luglio 2011 ci ha trascinati fin qui, eterogeneo riverbero di ciò che fummo. Il nostro inferno ha la parlata cara a Rugantino, è disunione. Esecrabile disunione.
Alle spalle di ogni porta c’è un vestibolo, una sala d’aspetto.
Non è ancora inferno, è anticamera e sospensione. L’attesa della condanna è essa stessa condanna.
Estrema sintesi della piattezza intellettuale, del silenzio assenso. L’antinferno è destinato a coloro che, per quieto vivere, non seguirono bandiera. Trincerandosi nei concetti pur rappresentativi ma banali. Soprattutto se da costoro proferiti: solo la maglia e il capo chino, solo l’impegno e sordità alle offese.
Questa spiaggia umida e sterminata accoglie tutti coloro che dipinsero di normalità i soprusi. Tutti coloro che, alla stregua di meduse, si tramutarono in barche schiave d’ogni corrente.
Giunti sulle rive dell’Acheronte, si para dinanzi al volto la figura chiave del cammino. L’uomo che fende l’acque, il turbine delle anime, i mulinelli. Colui che, traghettando altrove, rappresenta l’andare oltre.
L’andare oltre, tuttavia, non è sempre sinonimo di miglioramento. Lui è l’aziendalista dell’oltretomba, represso e schiacciato da un incarico pesante. L’unica paga è la pagaia con cui percuotere le membra dei naufraghi di Dio: qui regna Caronte.
Continua la discesa verso il cieco mondo: le urla e il lezzo, le bestemmie a Dio e ai santi. Ogni curva dissoda un dolore nuovo, più intenso. La luce è un ricordo esanime.
Orbitando verso il baratro, giungono anche frammenti di compassione. Il secondo cerchio, difatti, ospita chi morì per amore. Non v’è dannazione alcuna, solo un vento tiranno che scuote e carezza e avvinghia.
Ippocampi fra le fiamme, il fumo violento di quel maggio è ancora ferita fresca.
Il dolore è alto e ancora vivo. Fa cadere come corpo morto cade.
Funga da speranza: questa brezza, un giorno, avvolgerà color che mai si sono piegati ad altro fuoco che non sia passione pura.
La pietà, ad ora, cede il passo al rancore. Vorticando verso il baratro si attracca al girone degli avari. Genti che anteposero il patrimonio agli affetti, il guadagno alle emozioni, la moneta alla vita. I macigni, rotolando a stento, producono un sordo scalpiccio. Questa è la pena di chi troppo accumulò e nulla concesse.
L’ottavo cerchio incatena il fior de’ nostri mali: ruffiani e adulatori. Coloro che si prostrarono alla mercé del co-padrone temporaneo. Sferzati dai demoni, su terga adibite al prono, procedono in linea retta.
L’infinitesima parte del cammino, il passo, si fonde con l’eternità delle percosse. Fra loro – di svelta lingua e tarda dignità – chi adulò il podestà per un’offerta: cronisti, menestrelli, iguane e saltimbanchi.
Tutti coloro, insomma, che offersero servigi al potere disonesto.
Questo è il lembo d’inferno – sempre colmo – delle anime corrotte e corruttibili.
Degradando al fondo, più abbasso della ripa, i seminatori di discordie.
Contrapposti alla grammatica dell’unità, spesero parole odiose. Anafore senza carica poetica, abili a sollazzarsi fra le macerie. Questo è il contrappasso più crudo e sanguinolento.
Come in vita fomentarono divisioni ora affilano la spada della progenie di Lucifero.
Il gelo ora è ospite e sovrano, man mano che l’imbuto stringe i raggi. Il pozzo dei giganti esprime il tanfo, la merda costituisce il fiero pasto.
La Caina, i traditori.
Anime prave, giacciono in prossimità del cornuto Imperatore. Si tratta di coloro che, ingannando il proprio sangue, sedettero alla tavola del lor signore.
Svendettero radici e appartenenza per rimirar dell’usurpatore la baldanza. Traditori dei parenti e della patria, si legarono ai carcerieri nel viscidume d’un amplesso. Disonesti e senza Dio, soci del potere e mai del popolo.
Conficcati fino al collo, un mare di ghiaccio li cinge. Questo è il contrappasso di chi barattò il fratello per denaro. Color che non ebbero pulsione alcuna, se non per lo squallido tornaconto.
Ogni viaggio ha la sua conclusione, ad ogni peccato la sua espiazione. Errare, del resto, è condizione esistenziale, l’importante è non bivaccare nella perseveranza.
Sempre ricco, al fine, fu il perdono.
Solo per chi, pentendosi, intese meritarlo.
Il monito, severo, è presto detto: “Non si profani più l’orgoglio della Salernitana specie!”