Tempi stretti, anzi strettissimi.
Il calendario non concede spazio al rimuginare, la scoppola di Lecce è in archivio ed oggi è già domani.
All’Arechi giunge il nuovo Frosinone griffato Grosso. I giallazzurri, reduci da uno scialbo 0-0 con la Reggiana, hanno un disperato bisogno di punti. Necessità dovuta al destino biforcuto dei ciociari che, a sette giornate dal termine, hanno due sterrati da percorrere: il primo per coltivare una speranza residua in ottica play-off, il secondo per evitare di farsi trascinare laggiù dove osano le sogliole.
La Salernitana, intanto, è chiamata a smaltire le scorie del venerdì santo. Le due martellate inferte alla croce dei granata – dal sedotto, abbandonato, ri-sedotto e riabbandonato Pettinari e dall’intramontabile Maggio – hanno provocato dense dosi di reflusso gastroesofageo alla nottata di un popolo che – turandosi il naso, al netto dell’arcinota condotta societaria (ieri neanche presente al Via del Mare) – era pronto a sbrinare il pericardio.
È mancato il coraggio, ancor più che la qualità. Impietose le differenze statistiche di metà gara: maggioranza bulgara per quanto riguarda il possesso palla salentino, quattro parate determinanti compiute da Belec, una traversa e un salvataggio sulla linea operato da Di Tacchio.
I numeri si prestano poco alle interpretazioni e parlano chiaro, la superiorità dei giallorossi – quantomeno dalla cintola in su – è sembrata palese.
A fungere da contraltare, però, la seconda frazione di gara. La Salernitana, infatti, è entrata in campo con un piglio meno attendista, complice – ovviamente – la rete di Pettinari allo scadere. Accantonato il pigro gracidio della prima frazione, i granata hanno provato ad emettere qualche flebile ruggito. Un atteggiamento più incisivo e una condotta meno timorosa hanno permesso ai ragazzi di Castori di infondere qualche grattacapo in più al Lecce. Presenza assidua sulla trequarti avversaria e pressing più serrato hanno reso la vita difficile al giro palla difensivo dei pugliesi.
Esempio lampante, è la mentalità che rappresenta la chiave di volta. Pur tenendo in campo gli stessi 11, i granata sono riusciti ad essere meno passivi e leggermente più pericolosi.
Il proverbiale scroscio di pioggia sul bagnato, tuttavia, è giunto al minuto 64, quando Bogdan ha steso Coda lanciato verso la porta. Espulsione per il centrale croato, praterie che si spalancano, graduale annichilimento, ipossia, raddoppio giallorosso, morte cerebrale.
Finora, il puntinismo di Castori – la politica dei piccoli tratti di colore – ha fatto sì che la tela apparisse omogenea ad un occhio poco attento a discernere le differenze fra i movimenti artistici. Il cammino della Salernitana, pertanto, non è stato costruito nel solco dell’impeto e delle sensazioni tanto care agli espressionisti. È stato, più che altro, un insieme di tasselli poco avvezzo ai grandi sbalzi cromatici.
Il rimpianto – se di rimpianto può nutrirsi un percorso comunque inaspettato – è il non esser riusciti a imprimere la svolta decisiva laddove sarebbe stato possibile.
Non c’è null’altro da attendere e risparmiare, né tantomeno sarebbe salutare rispecchiarsi nei 51 punti, ad ora, prodotti. All’orizzonte c’è una nuova curva da affrontare, deleterio voltarsi indietro.
Sebbene, dallo specchietto retrovisore, il passato appaia meno distante di quanto in realtà sia, ora è necessario reagire.
E la squadra di Castori, ad onor del vero, raramente si è fermata a porgere l’altra guancia dopo una disfatta.
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