Non un semplice omaggio, ma l’omaggio per eccellenza nei confronti di chi ha rappresentato la purezza dell’animo umano prestata al mondo del pallone. Per alcuni “Diba”, per altri “Ago”, per tutti Agostino Di Bartolomei, è stato innanzitutto un galantuomo. Un uomo dal carattere introverso, apparentemente schivo, senz’altro di poche parole, ma capace di farsi amare e diventare un esempio per tutti. Un uomo che, in punta di piedi e senza mai una parola fuori posto, ha scritto pagine indelebili della storia della Roma e ha dato lustro alla Salernitana del “presidentissimo” Peppino Soglia.
Fin dagli albori della sua carriera, Agostino dimostra di avere la schiena dritta. Quella schiena che per anni ha sopportato il peso, talvolta eccessivo, di una piazza calorosa e bramosa di vittorie come quella giallorossa. Uno dei pochi della storia del calcio ad essere riuscito a diventare profeta in patria, con la conquista del campionato nella stagione 82-83 dopo 41 anni di attesa. L’unico romano e romanista che, nella stagione successiva, è arrivato per davvero ad un passo dal sogno “Coppa dei Campioni”, svanito tra le mani di un portiere-clown dai grandi baffi.
Fu quello, probabilmente, l’inizio della fine di Agostino. Un uomo a cui, in vita, non è mai stato perdonato nulla. Men che meno quell’esultanza rabbiosa al suo gol in un Milan-Roma dell’84 quando Ago vestiva la maglia rossonera. Per molti diventa il traditore, ma l’unico ad essere tradito fu lui. In quel gesto di Agostino c’era tutta la sua complessa personalità. Da Capitano della Roma non ha mai cercato la polemica, neanche quando fu scaricato senza troppi rimpianti. Ma quel gol e l’urlo che lo seguì furono la liberazione di un sentimento di rivalsa covato in silenzio, proprio come lui amava fare. Quell’urlo rappresentò il riscatto verso chi gli sfilò quella maglia che per lui era una seconda pelle.
Quando poi, nell’estate dell’88, a Salerno iniziarono a rincorrersi le voci di un possibile passaggio di Agostino alla Salernitana, la gente non poteva crederci. Mai avrebbe potuto immaginare che, per la prima volta nella storia, a guidare la propria squadra del cuore fosse proprio il capitano per eccellenza. Quel capitano ammirato e rispettato su tutti i campi d’Italia. Ma invece così fu.
Eppure, anche il cammino in maglia granata, inizialmente, non fu scevro da difficoltà ed incomprensioni. Il primo anno “qualcuno”, che probabilmente ne soffriva l’enorme personalità, scelse deliberatamente di relegarlo persino in panchina. Un “Harakiri” che, per poco, non costò una retrocessione che avrebbe avuto il sapore della beffa. Ma, nonostante tutto, anche in quell’occasione Ago si piega ma non si spezza, incassa ma non cade al tappeto. Dentro di sè sente di voler regalare un sogno ad una piazza altrettanto bramosa di successi, proprio come la sua Roma. Un sogno chiamato “Serie B” che da queste parti mancava da 24 lunghissimi anni trascorsi nelle sabbie mobili della terza serie. E di fatti lui, prima di dire basta, mantiene la parola data come ogni “Capitano” che si rispetti.
Poi, da quel giorno felice, purtroppo, inizierà una rapida discesa verso quel buco nero nel quale Agostino Di Bartolomei scivolerà giorno dopo giorno, istante dopo istante. Dopo 4 anni da quell’addio, in una calda e assolata giornata di inizio estate, qualcosa si ruppe definitivamente nell’introspettivo e riservato Ago. Quel maledetto giorno Agostino prenderà la pistola di casa, acquistata tempo addietro “per proteggere la sua famiglia”, se la punterà al cuore e metterà fine alla sua vita a soli 39 anni. Alla base del suo gesto estremo, una profonda delusione nei confronti di quel mondo, il calcio, che gli negava qualsiasi accesso. Nonostante il ritiro dal calcio giocato, infatti, Ago avrebbe voluto continuare a calcare il rettangolo verde, insegnando ai giovani quello sport che tanto aveva amato. Tanti, però, furono gli ostacoli che si frapposero tra lui ed il suo progetto. Tante le porte prese incredibilmente in faccia. Scelse di andarsene senza proclami e in punta di piedi, rimanendo fedele alla sua immagine di “anti eroe”.
Ma se l’elite del calcio italiano lo aveva clamorosamente ed inspiegabilmente dimenticato, non è così per gli sportivi. Sono in tanti, ancora oggi, i tifosi della Salernitana che, oltre a conservare gelosamente il ricordo del “grande Capitano”, hanno scelto di omaggiarne la memoria in occasione di quello che, se fosse ancora qui tra noi, sarebbe il suo compleanno.
E noi siamo sicuri che per gli innumerevoli attestati di stima e messaggi d’amore, Agostino, da lassù, abbia persino abbozzato un sorriso. E che soprattutto… continui a vegliare sui tifosi di fede granata.
SEMPLICEMENTE… GUIDACI ANCORA, AGO!
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