È il 24 aprile 2019.
Non tutti sanno che Budapest, capitale dell’Europorno a buon mercato, ospiti un torneo ATP250 su terra rossa.
Il primo turno propone in programma -sul centrale- il tennista di casa Valkus contro un certo Jannik Sinner. Nome e Cognome esotici, tuttavia passaporto italiano. Sconosciuto al palcoscenico, ancora minorenne entra nel tabellone del circuito principale e quel giorno vince. Da quel momento lo conoscono tutti, pure coloro i quali il tennis lo guardano poco o nulla: in effetti, il gioiello di San Candido farà poco per nascondersi.
È reduce dalla strepitosa performance in Florida, battuto in finale di un 1000 dal buon polacco Hurkacz, che lo consegna definitivamente alle cronache. Non è tuttavia interesse di chi scrive accodarsi ai peana -peraltro prematuri- nei quali si sono spesi i media di massa, più attenti all’evento che al fenomeno.
Glisserò pertanto sul modo di stare in campo del prodigio, quel modo di percorrere la linea di fondo anticipando le traiettorie, che a chi scrive ha ricordato da subito Davydenko e sono certo che non sia blasfemia. Non mi soffermerò su come porta il delizioso rovescio, preparando il colpo mandando racchetta dietro senza tuttavia alzarla, dal quale vengono via traiettorie minimamente arcuate e pertanto -sebbene meno potenti- spaventosamente efficaci. Mi limiterò ad auspicare una maggiore incidenza sul servizio -188cm. sono sufficienti ad ottenere più punti direttamente dal primo colpo- ed a suggerire sommessamente che talvolta quel tennis meravigliosamente pulito va sporcato: ma sono certo che col tempo arriverà.
Della carriera di Sinner credo sia interessante il prequel: il ragazzino di montagna gioca bene a tennis e va altrettanto forte sugli sci, fino alla pubertà non si mette nella condizione di scegliere ma di divertirsi. Appena adolescente lascia le Alpi e si trasferisce a Bordighera, adottato dall’intuito più fine applicato ai talenti tennistici, tal Riccardo Piatti che tratta il giovanotto come avrebbe fatto Nick Bollettieri dall’altra parte dell’Atlantico.
I successi cominciano in quel momento, con l’attitudine che consegna Jannik all’agonismo. Pochi, pochissimi tornei giovanili. Piuttosto si cimenta coi Futures: dove perde, perde di brutto. Sconfitte che valgono più di cento vittorie, maturate affrontando subito quelli più grandi e forti. La direzione, tuttavia, è quella lì: confrontarsi ad un livello dove sentirsi costantemente sotto pressione.
È un discorso che, al netto della forbice tra sport individuale e di squadra, potrebbe -dovrebbe- traslarsi al calcio. In Italia, precipuamente. All’età di Sinner, se sei una promessa, sei destinato per lo più al Camponato Primavera. Giochi contro avversari al tuo livello ma più spesso inferiori. Le partite, più che andartele a prendere, ti arrivano addosso senza nemmeno troppi sforzi. Laddove i risultati, nelle categorie juniores, servono solo a scaldare poltrone di vecchi politicanti dello sport, pronti a cucirsi in petto medaglie destinate a smettere di luccicare nel circuito senior.
Lo stesso ItalTennis, troppo spesso umorale e quasi mai realmente competente, s’è crogiolato al sole – si fa per dire- di Wimbledon jr per il successo di Quinzi, ebbene: a quell’età Sinner giocava il primo turno a Budapest. Meno riflettori e paillettes, più sostanza. Meno interviste e rotocalchi, ad appannaggio del processo di formazione e di crescita. Perché a diciassette anni se non ti confronti coi più bravi, se non prendi in faccia i 6-0 6-1 non ti migliori: e se a quell’età non migliori, stai già peggiorando.
Ecco dove sta l’eccezionalità del Fenomeno Sinner. Il talento del fuoriclasse, si capisce. La classe del predestinato, non siamo mica ciechi. Ma soprattutto e prim’ancora, un team che lo ha costruito guardando in prospettiva, scommettendo sul futuro anziché ostentare le mollichine del presente. Se affronti i migliori fin da giovanissimo, se non vinci impari. Guadagni comunque. Non è una scommessa, è win win situation.
Quanto ottenuto da Sinner è sin d’ora auspicio di una Nuova Italia, che cominci a coltivare talenti che sboccino in tutta lucentezza anziché posporli ad utilitaristici traguardi intermedi.
Non cogliere il senso della scalata di Jannik, a maggior ragione in considerazione del Nome di Famiglia, sarebbe sinceramente un peccato.