Primo nemico, per non dire altro. Ma una partita di calcio si svolge su un prato verde dove —per 90’ più recupero— si incontrano mondi e persone diverse e distanti, che spesso non parlano tra di loro. Alla redazione di solosalerno non manca però la curiosità. Da oggi inizia la sua collaborazione un tifoso granata che il mondo arbitrale lo ha vissuto a lungo. Ci aiuterà ad analizzare prospettive, decisioni. Ci sarà utile —male non fa— a ripassare un regolamento che spesso dimentichiamo secondo convenienza. Luca si presenta ai nostri lettori. Benvenuto.
Salve a tutti, mi chiamo Luca D’Urso e sono stato, per dieci anni, un arbitro di calcio appartenente alla Sezione Aia di Salerno.
Fin da piccolo, seguendo la squadra di calcio della mia città, ho sempre provato attrazione per due figure: il portiere e l’arbitro di calcio. Due figure che, per motivi differenti, avevano in mano le sorti di una partita, nella peggiore delle ipotesi, addirittura un’intera stagione. Quello che, però, balzava ai miei occhi, era quell’omino vestito di nero, in gergo calcistico denominato “giacchetta nera”. Un omino che, paradossalmente, a prescindere dalle sue decisioni, aveva tutti contro: squadre, dirigenti e migliaia e migliaia di persone.
Insomma, ciò che più mi colpiva era proprio la grossa responsabilità che ne scaturiva da quel “maledetto” ruolo. Fù così che, crescendo, maturai la piena consapevolezza che quell’attrazione, doveva tramutarsi in qualcosa di concreto. Dieci anni di rinunce e sacrifici, passati a calcare i campi di tutta Italia, da quelli più sterrati a quelli pettinati in pieno stile “British”. Ed è per questo che, di comune accordo con la redazione di “solosalerno“, a cui va il mio più sentito ringraziamento, proverò a raccontare la “vera” natura di un arbitro di calcio, un uomo vestito di “nero”, ma con mille sfumature nascoste.