Derive da 38esimo parallelo, nulla a che vedere con Syngman Rhee e Kim Il-Sung. Quest’oggi non vi condurrò a spasso nella rovente estate del ’50. Non è in atto un conflitto, né c’è alcuna tenzone fra sfera comunista e metastasi capitalista.
Si prova a parlare semplicemente di calcio che, fino a prova contraria, – “Pianeta terra chiama censori!” – è solo un gioco.
Non ci sono codici di testate nucleari da occultare, non c’è strategia offensiva da attuare sottotraccia, né tantomeno c’è bisogno di affidarsi a dinamiche di tutela dei Segreti di Stato.
Tutto quel che circonda l’ambiente Salernitana gravita intorno a due blocchi paralleli, contrapposti ma, paradossalmente, congruenti: libertà e menzogna.
Ancora una volta – l’ennesima – si assiste a grotteschi tentativi di controllo dei mezzi di informazione. L’atteggiamento è quello da podestà di provincia, la resa di ogni abuso rende terreno fertile ai grandi condottieri del neo-liberalismo salernitano: targhe alterne e goffe arrampicate.
Benvenuti nella culla dell’autoritarismo, a questo punto sembra fuori luogo appellarsi all’Art. 21 della Carta Costituzionale. Il giornalismo sportivo a Salerno, del resto, è fermo al 3 marzo 1848.
Ché il giorno dopo venne compiuto un passo fin troppo progressista per le nostre latitudini
Censura preventiva, silenziatore imposto, microfoni accesi per pochi intimi. La Società che governa la nostra matricola federale, in effetti, attua la selezione all’ingresso: parola e zuccherino ai mansueti, sferza ai villanzoni col brutto vizio di porre domande non concordate.
Se la Salernitana naviga, la passione torna a dare un senso alle giornate. Diversa opinione nutrita, probabilmente, dagli impresari del pallone. Nulla si fa per avvicinare il popolo alla truppa e, quest’anno, i fattori imponderabili – fortuna nostra – sembrano essersi ritorti contro.
La fame e la grinta, uniche padrone del nostro destino, ridurranno in brandelli il giogo dell’ostruzionismo capitolino.
Scherzi della metafisica, è la dura legge del contraltare.
Concluderò, banalmente, col refrain della mia adolescenza. Quante volte mi son state rivolte queste parole: “Se ti fossi impegnato per le cose più importanti, così come ti perdi dietro alle sciocchezze, chissà oggi dove saresti”.
Riformulo, riadatto e, villanamente, mi avvalgo del tu: “Se ti fossi impegnato ad allestire rose all’altezza, senza elargire triennali a grandi bolliti e figuranti. Se ti fossi impegnato a tessere reali trame di mercato, così come ti impegni a cercare di ricostruire il filo – con gran dispendio di tempo e telefonate – di questo o quell’accredito, chissà oggi dove saremmo”.
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