Storie

Le chiavi del campetto

Tempo di lettura: 3 minuti

Questa storia dovrebbe cominciare qualche giorno dopo il 29 marzo.

Con le bandiere, gli striscioni e le lacrime: perché quel signore con i baffi aveva deciso di non soffrire più e prendere l’ultimo treno per il viaggio finale.

In molte parti d’Italia quel signore con i baffi era venerato per altri motivi. In un certo senso era famoso perché aveva segnato goal, aveva allenato squadre medio piccole e le aveva fatte diventare grandi. Era entrato nella storia del Calcio Italiano perché protestò in maniera veemente, cosa strana per lui che ha sempre sussurrato e mai urlato: contro un arbitro cieco, che difese la squadra più potente non concedendo quel rigore che forse avrebbe cambiato tutto.

La storia di quella squadra è la sua personale.

Nel suo paese non era conosciuto per questo. Era semplicemente Baffo: quello che girava con la bicicletta, con il cestino di vimini in tuta, si fermava in piazza a prendere un caffè e cercava di non parlare di calcio.

Forse lo sanno in pochi, ma un giorno fermò per la strada quel medico. Non si conoscevano, ma quando si videro capirono che erano due anime inquiete, sempre pronte a costruire.

Disse al medico con il pizzetto:

  • Oh, cosa vuoi che faccia per i tuoi ragazzi?
  • Facciamoli giocare a pallone.
  • Domani vado dal Don e mi faccio dare le chiavi del campo dell’oratorio. Quando siete pronti venite.

E così fu. Perché tanto interesse per i ragazzi del medico con il pizzetto?

Perché erano gli ultimi, erano gli scarti. Tossici, alcolizzati, malati di Aids. E quel medico lottava, urlava, non si fermava neanche un po’ per toglierli da quella vita di merda che avevano vissuto fino ad allora.

Noi siamo gli indiani contro i cowboys, chissà che una volta gli indiani non vincano la loro battaglia

Lo disse il Baffo prima della partita più importante dell’anno. Il concetto lo applicarono su quei ragazzi.

Perché quelli erano veramente come gli indiani. Costretti a vivere nelle riserve dei giardinetti o in sale giochi di provincia a sniffare coca, o finire a battere per strada. Quando i ragazzi facevano quei si e no trecento metri, che dal reparto li portava a quel campo, parlavano nervosi. Un po’ per la scimmia, un po’ perché molti di loro un giro di campo non l’avevano mai fatto.

Perché il Baffo aveva organizzato le cose per bene, aveva chiamato un fornitore per farsi regalare i palloni ma soprattutto aveva creato uno staff.

Di allenatori, preparatori, gente che aveva giocato con lui, o per lui.

In quei pomeriggi del martedì qualcuno mollava il lavoro o lasciava la moglie a casa e si metteva a disposizione.

Facendo gli stessi allenamenti, forse con carichi di lavoro diversi ma pur sempre un allenamento che finiva sempre con una partitella.

Però il Baffo non prendeva quelli più talentuosi.

Prendeva i più vecchi, i più spaventati o quelli che non potevano correre per i problemi fisici.

Faceva la cosa più semplice: li prendeva sotto braccio e li faceva camminare al bordo. La prima cosa che diceva era Ora non si parla di calcio.

Anzi non si parla proprio. Perché sprecare fiato?

Cominciava a camminare a zig zag, poi sopra e sotto la tribunetta. Non parlava, ma quel braccio dava forza e coraggio.

Un’energia che chi riceveva non dimenticava.

Poi il 29 marzo.

Poi il 30 marzo.

Le bandiere quel giorno furono ammainate, la gente tornò a casa.

Pensate che sia tutto finito?

Con il cazzo. Il martedì, quando entravi nella palestra della scuola (si il medico con il pizzetto aveva rotto talmente le palle al sindaco che si fece dare le chiavi) erano cambiati i ragazzi: ma solo le facce e i nomi.

Le paure erano le stesse. Così come lo staff di allenatori con addosso le maglie delle squadre dove avevano giocato. Il baffo era su, in alto, che li vedeva.

Arrivava qualcun altro con la bicicletta con il cestino.

Sua figlia, che dopo aver chiuso lo sportello della banca ogni martedì era lì, seduta con lo stesso atteggiamento di suo padre.

Poi si mettevano a posto i fratini, i palloni, si chiudeva la porta e si tornava in sede.

Con meno scimmia addosso.

Personaggi e interpreti:

Il Baffo: Emiliano Mondonico – Allenatore.

Il Medico con il pizzetto: Giorgio Cerizza – Responsabile del reparto di alcologia e tossicodipendenze Ospedale di Rivolta d’Adda.

La figlia: Clara Mondonico. Donna meravigliosa e dolce con il sorriso del papà.

Lo staff: dal terzinaccio della promozione al giocatore con 20 di serie A. I nomi? Non me li ricordo.

L’importante è quello che hanno fatto.

Le bandiere erano degli ultrà dell’Atalanta, della Cremonese, della Fiorentina, del Como, del Cosenza.

Antonello Perna

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