Botti piene, mogli ubriache e arrampicate sugli specchi.
Crolla l’ultimo bastione del castello immaginario. Si frantuma l’ultimo tassello difensivo verso ciò che rappresenta l’impianto di stoccaggio, quel mostruoso termovalorizzatore associato al gioco più bello del mondo: il calcio ai tempi della multiproprietà.
Un dannato falso problema che altera la sana competitività, è questo un dato di fatto. Non è, però, l’unica macchia di un sistema calcio che annaspa e naviga a vista fra le scorie lasciate a galla dal pasticciaccio SuperLega.
Il nodo multiproprietà è stato, invero, l’argomento caldo del Consiglio Federale odierno, non sarà più concesso ad un singolo individuo di detenere più società. La decisione, al momento, non intacca la posizione della Salernitana, un vizio di retroattività splende sul presente ma scaglia fra le nebbie il divenire.
Non ci è andato giù pesante, Gravina. Potremmo parlare della nobile arte – caratteristicamente italiana – del procrastinare che, di mandato in mandato, si protrae. Ma, effettivamente, sarebbe stato eccessivo inimicarsi in un colpo solo il trio dei multiproprietari: De Laurentis, Lotito e Setti. Ha, tuttavia, lasciato intendere – in concerto con Ghirelli – che la modifica della norma 16 bis delle NOIF non è propriamente una passeggiata di salute. Quella sciocchezzuola che molti – soprattutto figli della nostra terra – amavano cianciare.
Ché, in effetti, ritoccare una normativa federale non è prerogativa degli amanuensi, occorre un minimo di competenza giurisprudenziale.
Nessun vantaggio, nessuna corsia preferenziale. Da oggi, accumulare il possesso di un doppio feudo è –Nuntio vobis gaudium magnum– sinonimo di serranda calata. Eccezion fatta per le figlie minori di Lazio, Napoli ed Hellas Verona che, facendo rotolare un pallone sgonfio, potranno bivaccare ad una categoria di distanza dalle madri.
Resta, altresì, il dubbio: cosa accadrebbe a Salernitana, Bari e Mantova in caso di promozione nella serie occupata da una delle tre società latifondiste? Eventualità che, per questi mari, si attende con trepidazione: un po’ come si attesero gli americani nel ’43.
Risposta semplice e senza troppi preamboli: il Signorotto di turno, senza mezzi termini, dovrà cedere campo e maniero. Nessuna corsa al cavillo, nessun raggiro concesso. L’unica soluzione è rappresentata dalla cessione societaria. Dovessero venir fiutate magagne, lo spettro di qualsivoglia prestanome, l’esclusione sarebbe dietro l’angolo.
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