In fondo a un problema trovi sempre un Tedesco.
Voltaire
Le luci dell’alba non hanno svegliato Churchill, quando il telefono squilla. È Parigi in linea: Reynaud pronuncia tre sole parole, sufficienti a destarlo. Meglio, a gelarlo.
Siamo stati sconfitti
Mentre Amsterdam cede alla Wehrmacht e le divisioni corazzate tedesche sbaragliano il nemico sulla Mosa, il 15 maggio 1940 la Francia si rende conto che l’offensiva nazista ha sfondato. È il preludio ad ogni genere di orrori inflitti dal Reich.
Oltre quarant’anni dopo, Le Figaro stuzzica i Francesi: qual è il Tedesco che odiate di più? Che ci crediate o no, Hitler si piazza secondo…
L’ultimo raggio del sole di Siviglia sparisce oltre il Ramón Sánchez-Pizjuán: 8 luglio 1982, penultimo atto del Mùndial. Una di fronte all’altra, Germania Ovest – Francia. È lo scontro tra due popoli che, da Carlo Magno in giù, non hanno più smesso di scannarsi. Si guardano, si annusano, si detestano.
Uno di fronte all’altro, due modi di pensare il calcio agli antipodi. La Germania Ovest è una dinamo e produce pressione costante sugli avversari fino a spezzarne le reti difensive. Il talento è nei piedi di Littbarski ma la squadra ha un indiscusso fulcro, non solo tattico.
Faccia da lupo mannaro e Libretto Rosso della Cina rivoluzionaria in tasca, Paul Breitner è il volto cespuglioso della Germania anticonformista: per tutti, il Maoista. È baricentro spirituale della formazione, passa tutto per la sua mente. Una mente che non conosce sconfitta.
Di fronte, la quintessenza del bello. Un mosaico delicato nel quale si incastonano in mistico equilibrio quattro -quattro!- numeri dieci tutti assieme: Jiresse, Tigana e Genghini, piedi di velluto tra i quali ciondola il Porfirogenito. Le Carrè Magique è rappresentazione ipnotica per pubblico ed avversari: protagonista è uno ed uno soltanto. Michel Platini è giocatore talmente universale che fai fatica ad inquadrarlo in un ruolo. Se il rapporto della Francia col calcio è stato sempre un po’ arruffato, nulla eguaglierà mai la fluidità di quell’orchestra sinfonica che sminuiresti a definire centrocampo.
La partita è bellissima. Esile, pallido e malinconico, Le Nombre Dix sta incantando senza nemmeno sbattersi. Ha l’aria snob di un aristocratico in piena monarchia assoluta, ma se per caso la palla arriva a lui -misericordia- dispensa gemme accecanti. Ha pareggiato il gol dei Tedeschi e bandito ogni tatticismo. È un incontro di pugilato a guardia bassa, colpi su colpi, fino allo sfinimento. Poi, al minuto 57, l’agone diviene leggenda.
È entrato da poco Patrick Battiston. Buon giocatore, nulla di eccezionale ma attenzione: è compagno di squadra di Platini al SaintEtienne. I due sono amici, si conoscono a memoria, si leggono nel pensiero. Tenete a mente. Fronte di destra, giusto a metà campo: Bossis si aggroviglia su Dremmler e gli strappa il pallone. Lo porta in orizzontale di pochi passi, lo lascia a Le Roi. Battiston nemmeno ci pensa: chiude gli occhi e si fionda verso la porta avversaria. Sa perfettamente che Platini ha un flauto magico per piede destro: Lui non ha bisogno di guardare, Lui immagina il calcio che non è ancora accaduto. D’esterno telecomanda una traiettoria inspiegabile che elude l’intera fase difensiva tedesca e muore giusto davanti al compagno, solo davanti al portiere. Ecco, entra in scena l’antieroe.
Un legno orizzontale retto da altri due legni verticali sono il santuario di Harald Schumacher, centonovanta centimetri di muscoli e cattiveria. Fin da ragazzino, incarna il culto della bellezza ariana e spazza via tutto ciò che gli si frapponga in un campo di calcio: è ossessionato dalla vittoria, l’avversario è il nemico. Difende la porta con esagerato ardore, tempio che nessuno osi profanare. Tra i pali è un Imperatore: fargli goal è lesa maestà.
Accarezzato da Platini, il pallone corre all’appuntamento con la storia: rimbalza sulla zolla giusta, puntuale incontra Battiston al limite dell’area. Schumacher è in ritardo, impossibile opporsi: può solo fare paura. Quando Battiston incrocia di sinistro il Panzer s’è già scagliato contro di lui a velocità folle: il Transalpino non vedrà mai la sfera uscire d’un niente. Il portiere non arresta la corsa e con l’anca gli sfonda la testa: l’impatto frontale è terribile, lo stadio ammutolisce. I denti di Battiston sono sparsi nell’area di rigore: ha le vertebre incrinate, è in coma. Calciatori e pubblico con le mani in faccia, qualcuno piange e tutti temono il peggio. Tutti tranne lui, che prende la palla e la rimette in gioco. Quasi nulla fosse, il Giovane Hitler non prova uno straccio di rimorso.
La partita, che proseguirà in una altalena di gol ed emozioni, per certi versi finisce là.
Negli spogliatoi, Schumacher riceve la telefonata della sua stessa madre, indignata per l’accaduto. La strafottenza, tuttavia, prevarrà sul fattaccio.
Battiston ha perso due denti? Bene, vorrà dire che gli regalerò una dentiera d’oro
Harald assurge per i Francesi a simbolo della Germania da odiare. Sarà lui a conquistare l’ignominia nel sondaggio de Le Figaro, battendo finanche il vero Fürher. Verrà definito Mostro per Professione: simbolo di vittoria disonorevole, incarnerà il mai sopito sentimento antitedesco.
Completamente apolitico e geneticamente spavaldo, non mostrerà una stilla di pentimento, specificando anzi che Battiston -proprio grazie al trauma- era diventato famoso: lui lo era già.
La Battaglia di Siviglia giace scolpita nella Memoria del Calcio. Fu la notte in cui si sfiorò la tragedia. In cui si consumò la più grande ingiustizia della Storia Calcistica Transalpina. In cui si mostrò disposto ad uccidere un uomo per il quale vincere non è importante.
È l’unica cosa che conta.
La seconda semifinale di España82 fu la prima gara di un Mondiale decisa ai calci di rigore. La Francia va avanti 3-1 ai supplementari ma si sa, il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine vince la Germania (cit.).
Battiston, giorni dopo l’impatto, uscì dal coma e si riprese. Non solo perdonerà, ma i due diventeranno amici: alle nozze del superstite sul tableau mariage avrebbe trovato posto pure Toni Schumacher.
Il quale ereditò il soprannome dal suo unico idolo, quel Toni Turek che nel 1954 difese i pali della Germania Ovest, capace di battere l’imbattibile Aranycsapat. Ma questa è un’altra storia…
Stay tuned. Next coming.
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