“Il calcio è semplice. Devi solo avere la giusta mentalità, combattere in ogni partita, in ogni allenamento e su ogni palla”.
(Hristo Stoičkov)
Re Artù, è questo l’appellativo che è stato attribuito ad Arturo Di Napoli – ex centravanti granata – durante la sua brillante carriera calcistica. Talento, personalità e simpatia fecero sì che l’ex numero 10 della Salernitana – nel corso delle due stagioni vissute a Salerno – facesse battere all’unisono i cuori di tutti gli appassionati dell’Ippocampo. Di Napoli fu protagonista indiscusso della cavalcata vincente che condusse la Salernitana dalla serie C alla cadetteria, durante la stagione calcistica 2007/2008.
Il fantasista sbarazzino cresciuto nelle giovanili dell’Inter, riuscì in un biennio a farsi conoscere ed apprezzare in tutte le sue variegate sfaccettature. Passione e dedizione nutrite per la piazza salernitana, innescarono il consequenziale e naturale legame tra il calciatore ed il contesto che, tutt’oggi esiste e resiste.
La redazione di SoloSalerno.it ha intervistato il talentuoso classe ’74 che in veste d’allenatore, s’è reso disponibile per discutere di attualità e rammentare assieme il percorso calcistico che ha caratterizzato la sua vita.
La serie A mancava a Salerno da 23 anni, immaginavi il felice epilogo che ha travolto e sconvolto la città?
“È stato tutto inaspettato. È doveroso ammettere che non ci si immaginava la promozione diretta. Dei playoff ne ero certo, ma, di assistere al campionato straordinario che, invece, c’è stato, no. Tutto vissuto oltre le aspettative, soprattutto, perché c’erano squadre blasonate come il Lecce, il Monza… sulla carta erano realtà fortemente accreditate. La Salernitana ha svolto un campionato meraviglioso e la città di Salerno ha, finalmente, ottenuto ciò che merita: la serie A. Alla lunga è stata la squadra che ha avuto più costanza, quindi, ha meritato ampiamente questa promozione”.
Credi sia stata più inaspettata la promozione della Salernitana, oppure, quella del Venezia?
“Quella del Venezia credo lo sia stata ancora di più. È arrivata attraverso i playoff, ovvero, un campionato nel campionato. In quella fase fa la differenza chi dimostra maggior freschezza mentale e fisica. Il Venezia ha vinto senza eccessive pressioni. Ha giocato un buon campionato, inoltre, è stata un’altra piazza in cui ho giocato e vinto un campionato, passando dalla serie B alla A”.
Hai vissuto innumerevoli esperienze calcistiche in tantissime piazze d’Italia, ma, il legame suggellato con Salerno sembra avere una marcia in più…
“Credo sia stato un processo naturale. Salerno è stata un’esperienza vissuta al termine della mia carriera da calciatore, è stata un’opportunità che mi ha permesso di approcciare al campo con una maturità ed una consapevolezza maggiore, diversa. In un momento difficile e particolare della mia vita, soprattutto, sotto l’aspetto della saluta, Salerno mi ha donato “quell’abbraccio” di cui avevo bisogno per ripartire. Il mio legame per questa città è immenso. Ho tantissime amicizie che sono nate durante la mia permanenza in città, il tempo ha fatto sì che le stesse si evolvessero e si consolidassero. Oggi, sono un ulteriore pretesto per tornare.
Inoltre, proprio in questi giorni sei tornato a Salerno in dolce compagnia…
“Si, ho portato il mio bimbo Thomas, affinché possa apprezzare anche lui questa magnifica realtà. Agli innumerevoli racconti legati alla mia esperienza qui, volevo abbinare il contatto diretto con Salerno. Alcune cose non possono essere spiegate, necessitano di essere vissute, per quanto tu voglia raccontarle con il cuore, non ti avvicini, totalmente, alla vera emozione. Ci stiamo godendo ogni singolo momento: il mare, i sorrisi, i cori, la pizza, la gente, gli abbracci… Per me Salerno, ogni anno, è tappa fissa. È gratificante arrivare qui e sentire l’affetto e l’entusiasmo delle persone, mi sento a casa”.
Tra i ricordi più belli legati a Salerno?
“Ce ne sono tanti. Mi porto dentro, anche, episodi negativi, ma, è proprio grazie a quelli che emergono tante cose volte al superamento dei limiti che ognuno di noi deve oltrepassare. Tra i momenti più belli ricordo l’incredibile atmosfera durante la partita contro l’Ancona, tra il primo ed il secondo tempo. Ebbi la fortuna di fare gol in una gara difficilissima. Poi, rammento la trasferta di Potenza, quando al ritorno da questa venimmo scortati dai tifosi fino al “Grand Hotel Salerno”, una manifestazione d’affetto che poche altre volte ho vissuto. Salerno è una piazza che rimane dentro. Inoltre, le società passano, gli allenatori cambiano, i calciatori anche, ma ciò che non muta è l’attaccamento ai colori sociali e alla maglia, è questo che rende la tifoseria unica. Oggi, giocare a porte vuote fa capire agli addetti ai lavori quanto sia essenziale la presenza del pubblico”.
Da non dimenticare anche il bellissimo gol – su punizione, contro il Taranto – che garantì il definitivo 3 a 2 a favore dei granata…
“Venne giù la curva. i presenti all’Arechi impazzirono dalla gioia. Segnare fu soddisfacente anche per la rivalità che esiste con i tifosi pugliesi. I gol allo scadere hanno sempre un sapore speciale…“
Tornando all’attualità, un parallelismo tra te e Tutino può esistere?
“Parto da me. A me piaceva dare la palla gol più che essere autore stesso delle realizzazioni. La figura del fantasista, del classico numero 10, negli anni, è un po’ sparita. Credo che Tutino abbia grandissime qualità: ha tecnica, vede la porta, possiede fisicità, estro, fantasia… È un ragazzo quando trova continuità, l’ambiente giusto, il mister che fa per lui, può seriamente essere devastate. Mi auguro rimanga a Salerno, può dare molto alla città e i tifosi posso dare tanto a lui. A me piace davvero tanto”.
Tutino è stato una pedina fondamentale anche per lo spogliatoio…
“Le partite si vincono anche fuori dal campo, si vivono nel quotidiano, mettendo armonia e divertendosi. Le pressioni e le tensioni vanno smussate, quindi, è necessario avere qualcuno che sia un po’ folle alleggerendo l’atmosfera. È ineludibile avere qualcuno che fuori dal campo faccia la differenza”.
In veste di allenatore come hai considerato il lavoro che ha svolto mister Castori quest’anno?
“Castori ha dei codici tattici ben precisi, riesce a tirare fuori tutto ciò che è in possesso di un calciatore. Quando esiste il giusto incastro tra calciatore ed allenatore credo non si possa desiderare di meglio. Rispetto a quando io l’ho avuto come allenatore è cambiato molto, si è evoluto, ha studiato… questo lo ha indotto a conseguire grandi risultati. Spero possa rimanere a Salerno, merita di guidare i granata, deve avere un’altra opportunità in serie A. Società come la Salernitana devono dimostrare di avere tanta fame e senso di appartenenza per andare avanti in una categoria come la massima serie”.
Arturo quali credi possano essere i risvolti societari? Cosa pensi in proposito alla multiproprietà?
“È un tema così complicato e delicato da affrontare che, bisogna snocciolarlo con rispetto. È difficile dare una risposta esaustiva. Credo che a Lotito gli si possa dir di tutto, tranne che non abbia investito in questa città. Ciò che ha costruito non è poco. Dieci anni fa rilevò la Salernitana partendo dalla serie D, portandola – ad oggi – in massima serie, credo questo sia un dato inconfutabile ed incontrovertibile. In quanto alla multiproprietà, la Figc è stata chiara da sempre, con tutti. Arrivare a pochi giorni dal termine ultimo per poter cedere la società, senza conoscere quello che sarà il futuro della Salernitana non è bello. Bisognava essere chiari sin dal principio. La tifoseria brancola nel buio, ha mille paure, dubbi e perplessità legate all’iscrizione. Dopo tanti anni d’attesa, sarebbe assurdo non poter partecipare al campionato di massima serie. Credo che Lotito non sia uno sprovveduto, è competente, sa muoversi, qualcosa farà. Dubito opti per qualche escamotage, questo porterebbe a situazione complicate e compromettenti”.
Se l’alternativa all’attuale società fossero i Della Valle o Radrizzani?
“Credo che per la Salernitana andrebbe bene sia l’una che l’altra soluzione, sarebbero una garanzia, si cascherebbe in piedi. Ad oggi i soldi in ballo sono tanti, Lotito è ad un bivio, è fondamentale trovare la giusta formula per fare una quadra. Sarebbe folle non farlo. Con grande sofferenza la Salernitana ha meritato la serie A, è stata la squadra che con più costanza – se pur non sempre bella da vedere – ha dimostrato di essere degna del risultato ottenuto. Voglio aggiungere che, i campionati di B, difficilmente si vincono giocando un bel calcio. L’abnegazione, l’aggressività fanno la differenza. Comunque, personalmente sono molto sereno, sono convinto si troverà la soluzione giusta”.
Proiettandoci al futuro, la serie A, rispetto a quando l’hai giocata tu, quanto è cambiata? Che differenza c’è tra una serie B vinta ed una serie A in cui devi salvarti?
“Dalla serie B alla A è un salto importante, c’è tanta differenza. Sono indispensabili giocatori che abbiano esperienza, qualità e serietà. Io, ad esempio, non ho sempre saputo sfruttare le possibilità a mia disposizione, a causa dell’immaturità. Avevo davanti calciatori di un grande calibro: Del Piero, Montella, Del Vecchio, Inzaghi, Totti… era una serie A diversa da quella di oggi, la qualità è mutata, era superiore, era un calcio diverso, meno aggressivo. Credo che ogni dieci anni, circa, cambi qualcosa. Nel campionato di massima serie, ad oggi, non ci sono tantissimi campioni nostrani. Sarebbe bene dare più spessore al made in Italy, valorizzare i nostri giovani. La Nazionale Italiana lo sta dimostrando. Bisogna avere il coraggio di puntare sui nostri giovani, investendo sul settore giovanile e farne la propria fortuna, un po’ come ha fatto l’Empoli. Al sud, inoltre, ci sono calciatori che hanno grandissime qualità rispetto al Nord. Nelle primavere del Nord ci sono tantissimi ragazzi del Sud, io mi chiedo perché non valorizzarli in casa propria”.
Arturo ti ci vedi come allenatore delle giovanili, magari, a Salerno?
“Sarebbe un’emozione unica. Se qualcuno dovesse pensare a me, non avrei dubbi, la mia risposta sarebbe, sempre, si! Mi renderei operativo nell’immediato”.
Quale sarebbe il modulo che ti piacerebbe impostare, con quale formazione riesci ad esprimerti meglio?
“Sono un amante del 4-3-3, credo sia un modulo ricco di alternative, equilibrato, con un ottima difesa e buone trame offensive. È il mio marchio di fabbrica, è un modulo che è favolo per i giovani con i quali si ottengono tante soddisfazioni. Insegnare calcio, farlo con i giovani, mi riempie e soddisfa”.
Qual è il tuo ricordo in proposito a Fulvio Di Maio?
“Fulvio è stato una persona che mi voleva molto bene, mi ha sempre difeso, gli piacevo molto come calciatore, mi ha sempre incoraggiato. Era un uomo colorito ed ha dedicato la sua vita a Salerno, era meraviglioso, divertente, il fantasista della Tv. Abbiamo guardato tante partite assieme, era davvero competente. La notizia della sua scomparsa mi ha devastato. Inoltre, diceva una cosa verissima, ovvero, che in campo erano i singoli a fare la differenza, mi ripeteva spesso: “ non sono gli allenatori a far diventare grande un calciatore, ma, i calciatori a far grande un allenatore”. Si può essere preparatissimi tecnicamente e tatticamente, ma, senza giocatori di qualità le idee di un mister saranno sempre difficili da mettere in pratica. La fantasia è indispensabile, non si può correre e basta”.
Quali sono stati i calciatori e gli allenatori che hanno maggiormente influenzato durante la tua carriera, sia sotto l’aspetto professionale che personale?
“Ho avuto una grande fortuna, giocando per più di 10 anni in serie A ne ho conosciuti molti. Iniziare ad elencare i calciatori di spessore con i quali ho condiviso anni preziosi della mia carriera, mi indurrebbe sicuramente a dimenticarne qualcuno. Ho giocato con Zampata, Mariero, Zanetti… ricevendo tantissimi insegnamenti, soprattutto, relativi all’atteggiamento. Risulta indispensabile sapersi sacrificare per ottenere risultati. Personalmente ho avuto la fortuna di avere tanta qualità dalla mia, pur facendo pochi sacrifici. Ogni volta che andavo a rinnovare il mio contratto e poi andavo in prestito, Mazzola mi diceva sempre: “ Potevi essere una colonna importante dell’Inter, ma, sei una testa di rapa”. Mi chiese di rimanere all’Inter, ma, io non volli fare la panchina a Ronaldo che, arrivò nel 1997/98 a Milano. Avevo voglia di giocare e ho scelto di andare altrove, avrei dovuto accettare la proposta che mi era stata fatta all’epoca, insomma, essere più lungimirante. Anche di allenatori ne ho avuti tanti: Prandelli, Gigi Simoni, Ventura, Guidolin, ognuno mi insegnato molto”.
Inoltre, spesso hai portato in trionfo la Salernitana nelle varie trasmissioni televisive nazionali in cui hai presenziato…
“Salerno per me rappresenta qualcosa di grande, anche lì dove ho avuto modo di scontrarmi con pareri discordanti, non mi sono mai sottratto nell’omaggiarla e difenderla a spada tratta. È una piazza a cui sono grato e riconoscente, non posso che augurarle il meglio. Non ultimo ,quando sono stato invitato in trasmissione a “Sport Italia”, mi sono presentato indossando la maglia della Salernitana per rendere simpatica la puntata a cospetto del direttore – tifoso avellinese – con il quale si scherzava in proposito alle divergenze calcistiche. Non posso tollerare di sentir parlare male di Salerno, smentisco nell’immediato qualsivoglia informazione negativa. Quando qualcosa non corrisponde alla verità, merita di essere corretta ed io lo faccio”.
Quale credi possa essere l’evoluzione dei prossimi giorni per sbrogliare la vicenda societaria?
“Non voglio e non posso pensare a qualcosa di diverso se non che la Salernitana si iscriva regolarmente al campionato di serie A, disputandolo dignitosamente. Gli interessi in essere sono tanti. Lotito è un imprenditore di assoluto spessore. Quale sarà la soluzione che opterà, non ci è ancora dato saperlo, siamo tutti in attesa”.
In conclusione, quali sono le squadre che ritieni possano essere le favorite in questi Europei?
“La nostra Nazionale mi piace molto, i ragazzi hanno un bel gioco ed un grande spirito. Il Belgio non è da sottovalutare, presenta un buon organico”.
Credi che sull’episodio verificatosi al calciatore dell’Inter Christian Eriksen – durante la gara Danimarca Finlandia – come ad altri calciatori prima di lui, possa aver influito anche lo stress psico-fisico a cui, oggi più che mai, i giocatori sono sottoposti?
“Le pressioni sono tante ma, ritengo che le vere pressioni le abbiano coloro che alle sei del mattino vadano a lavorare, tornando la sera a casa e non sapendo come mettere il piatto a tavola a fine mese. Le pressioni esistono nel calcio, però, sono di una differenza unica rispetto ad altre realtà. Inoltre, noi siamo super controllati. Ciò che è successo a Christian ha messo in luce anche un’immagine positiva del calcio, ovvero, ha palesato quanto questo sport sappia unire. In quel brutto momento c’è stata una compattezza unica, eravamo tutti inchiodati alla Tv pregando per questo ragazzo, affinché si riprendesse quanto prima. È stato molto toccante. Inoltre, rifiuto in maniera categorica chi ci definisce tanti matti che rincorrono un pallone, il calcio è un qualcosa che va nel profondo, nell’anima, avvicina tutti: donne, bambini… è un momento di evasione che fa dimenticare tante cose. Il calcio è molto più di una palla che rotola. Questo è un parere prettamente personale”.
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