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Spagna – Polonia: i due volti della resistenza

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Il concetto di resistenza non è univoco, lo vedremo.

Spagna e Polonia rappresentano i due volti della repressione: da destra a sinistra, senza soluzione di continuità. Rappresentano due estremi – giochi di parole a parte – portati allo stremo.

Una duplice rivoluzione.

L’una, abortita in tre anni, giunse dal popolo e dagli abusi subiti. L’altra incarnò l’occhiolino di un Pontefice autoctono che – in risposta ad un blocco sovietico in rotta di collisione – armò lo spirito dei polacchi affidandosi al Banco Ambrosiano, ad un banchiere che esalò l’ultimo respiro fra le braccia dei Frati Neri.

La linea temporale prevede che si parta dall’inizio, un inizio che è la fine.

17 luglio 1936.

Millenovecentotrentasei passi battevano fieri al capezzale della Spagna libera. Un Caudillo, un comparto di stanza in Marocco, il fior fiore della proprietà terriera, nobili, notabili, pizzicagnoli e avvoltoi, residui di monarchia, il baratro intellettuale della componente clerico-reazionaria. Si misero – tutti insieme appassionatamente – in marcia contro il Frente Popular: un complesso di anime consacrate alla sinistra radicale.

Le strategie si studiano in salotto, il fucile lo imbraccia il sudore della fronte.

¡No pasarán!

È questo, un grido di fierezza ed emancipazione, a far trasalire la compagine nazionalista. Dolores Ibárruri Gomezla Pasionaria – interpreta la risposta collettiva alla Falange.

Interpreta il sangue e la rivoluzione: un’armata improvvisata e fiera che, passando dalla polvere dei campi alla polvere da sparo, andò a testa alta fra le braccia di una morte certa.

La Guerra Civil è un concetto che la penna di Hemingway – e di tanti altri intellettuali – ha snocciolato a fondo. Si trattò di guerra – sine dubio – e fu palestra: per il vivere, per lo scrivere, per governanti in attesa di eventi che – di lì a poco – avrebbero condotto dalla fase polacca al fungo atomico di Nagasaki.

Il sentimento di caducità, del resto, fu la costante: il calamaio di Ernest, un oceano da sorseggiare.

Morire era niente e El Sordo non aveva dentro di sé una visione chiara della morte né la temeva. Ma vivere era l’immagine di un campo di grano che ondeggia al vento sul fianco di una collina. Vivere era un falco nel cielo. Vivere era una giarra di terra piena d’acqua nella polvere della trebbiatura, col grano lanciato in aria e la pula che vola. Vivere era un cavallo tra le cosce e un fucile sotto una gamba e una collina e una valle e un fiume fiancheggiato d’alberi sulle rive, e l’estremo della valle e le colline al di là. 

Ernest Hemingway, frammento tratto dal romanzo “Per chi suona la campana”

Se il conflitto ispirò l’inchiostro, figuriamoci la tela.

Lampi, urla e smarrimento. Parlavamo di palestra, appunto. Quale occasione migliore per perfezionare i disegni militari della Luftwaffe?

L’aviazione esporta un terrore nuovo, inatteso. Guernica, 1937, la morte irrompe dal cielo.

Guernica, 1937. Pablo Picasso.

Non esiste reazione più violenta di quella architettata da chi vede annullare ogni privilegio accumulato sulla schiena del popolo. Così, del resto, la Spagna vide sfumare il progresso: da latifondo monarchico, a ventennio stile Impero quasi doppiato da Francisco Franco.

Un regime autoritario che nasce nel 1939, muore l’altrieri. Nel 1975.

L’orgoglio raramente popola il tappeto della sconfitta. L’importante è affidarsi al lato giusto della barricata e della Storia. Arte che in Italia, purtroppo, si ignorò e si ignora.

17 settembre 1980, Danzica.

La resistenza, qui, è sinonimo di blocco. Un’ondata di scioperi aggroviglia la zolla adagiata sul Baltico. Il porto di Danzica è appendice di terra che si irradia nel mare, in questo caso è anche terra di conquista: da che mondo è mondo, da Guglielmo II di Hohenzollern a Hitler.

Cominciamo col dire, però, che siamo nel pieno del Vietnam sovietico: i prodromi di un crollo verticale.

L’URSS, in quel frangente, ebbe i piedi d’argilla, migliaia di braccia in Afghanistan, lo sguardo sul Golfo Persico e la corruzione – splendente dote di Leoníd Il’íč Bréžnev – conficcata al centro del Partito.

La Storia è il gioco delle conseguenze. La politica estera è una scienza esatta – una coperta troppo corta – difficile mantenere il controllo degli eventi, se questi proliferano sullo scacchiere geopolitico.

Navighiamo, comunque, nella Polonia avvinghiata dalle spire dell’universo sovietico. È stanca di ingerenze istituzionali, sindacali e – giocoforza – economiche. La costellazione anticomunista insorge, ne ha ben donde. È il momento propizio per fare fronte unico e cavalcare il fiume dell’avvenire. Una doppia W, impugnando le redini, riscriverà il destino: Wojtyla e Wałęsa.

Cosicché nacque Solidarność, primo sindacato cattolico in un Paese – fino a quel momento – senza Dio.

Furono intrapresi i sentieri della non violenza, in risposta ai carrarmati dell’Armata Rossa. Fu, altresì, movimento intellettuale, un accordo fra uomini e prelati.

Sicuramente – dati contabili alla mano – si trattò di una manovra d’oltreoceano. Frutto di intrecci oscuri fra lo IOR e il Banco Ambrosiano: le mani di Roberto Calvi – il banchiere di Dio – e Paul Casimir Marcinkus – Arcivescovo statunitense con l’armadio carico d’ossa – si strinsero sottobanco.

La regia dell’operazione, neanche a dirlo, giunse dai padri del capitalismo: dalla patria delle stelle, delle strisce e dell’aquila calva. Voce del verbo interferire, nessuno muove pedine e finanziamenti. Se non per un solido tornaconto.

Il tornaconto, in conclusione, rappresentato dalla completa disgregazione dell’Impero del male. Quel piccolo mondo antico – tanto per citare impunemente Fogazzaro – che si tramutò da monolite in distesa di atolli.

Il moto centrifugo – elettroni impazziti in esilio dal nucleo sovietico – condusse dall’economia pianificata all’economia di consumo.

18 giugno 1989.

Difatti, il Partito Operaio Unificato Polacco – braccio del Partito Comunista dell’Unione Sovietica in Polonia – giunse alle prime elezioni libere, mancavano dal 1920, racimolando la bellezza di un seggio al Senato. Solidarność, tanto per dire, ne guadagnò novantanove.

Un collasso senza pari per il sistema imperante. Una nuova alba per quel groviglio di liberali, chierici, conservatori e democratici. Un nuovo inizio per il popolo.

19 giugno 2021. Estadio de la Cartuja, Siviglia.

Si calpesta, stasera, l’erba riarsa dalla calura andalusa: Spagna – Polonia presenta i galloni della partita anonima, dal finale già scritto.

Eppure la Storia – men che meno quella del calcio – non tiene conto dei parametri tecnici, né delle distanze da coprire. A meno che non determini la differenza fra conquista e ritirata, fra espansionismo e dietrofront.

Siamo al cospetto di due concetti di calcio agli antipodi: la penisola proiettata nell’Atlantico gode di visionarietà e talento, la costola Est d’Europa ha dalla sua pragmatismo e carattere.

Nessun precedente in gare valevoli per le fasi finali di una competizione internazionale, meglio così.

Si tratta, comunque, di uno scontro da “mors tua vita mea”. C’è una duplice partenza in sordina a cui rimediare. Sarà sfida vera, sebbene gli svedesi siano ormai distanti e la Slovacchia – anch’essa figlia illegittima del calderone sovietico – sembri già destinata, mal che vada, alla piazza d’onore.

Ché il ‘900 non si riassume in una sfera che rotola nel sacco, il presente invece sì.

Alfredo Mercurio

Nato nel '90. Due passioni governano i moti del cuore e, molto spesso, confluiscono l'una nell'altra: Salernitana e poesia.

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