Incontrare mister Leonardo Menichini è come rivedere quell’ ‘antico’ insegnante del liceo a cui sei rimasto legato per le doti umane che esprimeva e per il periodo formativo condiviso. La chiacchierata si trasforma immediatamente in una rivisitazione di forti emozioni, che, impresse indelebilmente nel cuore e nella mente, arrestano il corso dei pensieri attuali e invitano a godere le istantanee di una nostalgia che non procura tristezza.
Salve Mister, quando le tornano in mente Salerno e la sua tifoseria, quali sono i sentimenti che emergono dal suo vissuto alla guida della Salernitana?
Salerno rappresenta una delle pagine più intense del mio percorso umano e lavorativo, mi ricorda le forti emozioni custodite gelosamente in ogni singolo momento attraversato nella vostra meravigliosa città. Spero e credo di aver dato molto, in termini di professionalità, di risultati e di attaccamento emotivo. Altrettanto ho ricevuto: passione, stima e affetto, che i tifosi mi hanno fatto percepire sin dal primo istante della mia triennale esperienza professionale. Ancora oggi, registro con grande felicità le vivide manifestazioni di interesse dei tanti amici incrociati lungo il cammino, e sono particolarmente affezionato all’ottimo rapporto umano che mi lega al tifoso comune.
Lei arrivò a Salerno in un momento decisamente delicato, era l’estate 2014, con la piazza ancora scossa dalle forti dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa da Mario Somma contro il ds Fabiani. Quale fu l’impatto e la prima cosa che suggerì a se stesso?
Ricordo ancora il primo allenamento sul sintetico di Baronissi e la tifoseria in forte polemica con la società ed i calciatori. Capii in fretta l’aria che tirava, radunai la squadra al centro del campo e, ancor prima di parlare di schemi di gioco e di tattica, feci capire ai ragazzi che non ero arrivato a Salerno per fare la comparsa o per tappare un buco creatosi inaspettatamente; ero su quel campo accompagnato da motivazioni importanti, determinato a profondere il massimo impegno, ad inseguire la vittoria del campionato. Al termine della seduta, entrai in auto con Salvatore Avallone per andare via, ma i tifosi mi chiesero un confronto, allora mi fermai e dissi loro le stesse parole pronunciate alla squadra poco prima. Il mio approdo a Salerno non doveva essere interpretato come un arretramento sul piano delle ambizioni, perché ero scortato da grande entusiasmo e convinto di poter raggiungere i risultati da loro attesi. Furono dichiarazioni, se vogliamo, anche un po’ azzardate, ma i tifosi avvertirono la mia determinazione, si sentirono più sereni e decisero di concedermi la loro fiducia.
Leonardo Menichini è sempre stato considerato un ottimo gestore del gruppo e delle pressioni esercitate dai momenti salienti e delicati di una stagione. Ma i meriti tecnici, soprattutto nell’anno che regalò a Salerno il salto dalla C alla B, non sono mai stati sottolineati abbastanza. Calil ‘falso nueve’, la ricerca del possesso palla per celare alcune carenze di dinamismo in mezzo al campo, la versatilità tattica e l’utilizzo di svariati sistemi di gioco, Colombo e Franco devastanti come esterni intermedi, gli equilibri tattici raggiunti con il provvidenziale acquisto di Moro nella sessione invernale di calciomercato. Ha mai avvertito la sensazione di leggere sul suo conto una narrazione a metà?
Hai fotografato bene l’aspetto meramente calcistico di quell’annata. Le fasi iniziali non furono affatto semplici, con il campo di allenamento trasformato in un cantiere aperto che accoglieva calciatori bisognosi di raggiungere la giusta condizione atletica. Pianificammo allenamenti intensi e una gestione attenta del minutaggio. Cambiammo molto, non fummo mai impreparati nel trovare la corretta interpretazione tattica quando squalifiche, infortuni e scadimenti di forma ci fecero visita. Affrontammo momenti delicati come il dramma di Mendicino a Matera, quando vincemmo in inferiorità numerica e con la mente rivolta alle condizioni di salute del ragazzo; una vittoria che rafforzò l’autostima del gruppo e la compattezza dello spogliatoio. Ricordo gli esaltanti successi sui campi di Lecce e Catanzaro, ma anche la capacità di restare uniti dopo qualche battuta d’arresto interna (Vigor Lamezia, Foggia e Matera). Gestione lungimirante adottata pure nella fase delicata della stagione che regalò la prima salvezza in B, nel doppio play out contro il Lanciano. La classifica era precaria, affrontavamo molte partite a distanza di pochi giorni, con gli scontri diretti da vincere, stando però attenti a non perderli. Adottammo la politica dei piccoli passi, un turn over che consentì a tutti di esprimersi al meglio dal punto di vista della tenuta mentale, atletica e tecnica. Ricordo che faci rifiatare Coda, nel match casalingo contro il Vicenza, generando un po’ di malcontento tra i tifosi e all’interno dello stesso spogliatoio. Alla fine, come testimoniano i 22 punti in 18 partite ed il doppio successo negli spareggi contro gli abruzzesi, quel pragmatismo, fondato su un paziente realismo, fu premiato con la salvaguardia della categoria. Anche la sofferta salvezza sul campo del Venezia, strappata dopo 120 minuti ‘sanguinosi’ e i calci di rigore, fu un piccolo capolavoro di presenza mentale e concretezza. I ragazzi, che vissero una vigilia lunghissima a causa dell’incertezza legata alle note vicende del Foggia e del Palermo, mi aiutarono nel lavoro, restando sempre sul pezzo e gestendo con professionalità l’impazienza logorante. Chiesi alla società di fare un allenamento a porte aperte, alla vigilia del match contro i veneti. Un bagno di passione ed entusiasmo che, nella gara di ritorno, con la squadra ridotta in dieci dopo l’espulsione di Minala, si fece sentire nelle menti e nei muscoli dei calciatori, i quali ebbero un motivo in più per soffrire e dare tutto, fino ad ottenere il giusto premio finale. Un gruppo che ricordo con grande affetto. Dopo aver parlato della gestione dei diversi momenti del mio triennio in granata, è giusto però sottolineare anche il lavoro tecnico-tattico e la varietà di soluzioni offensive che esibimmo nella stagione della promozione. I gol realizzati dagli esterni intermedi Colombo e Franco, con uno dei due che crossava e l’altro pronto a finalizzare l’azione sul secondo palo, erano figli di un certosino lavoro settimanale. Così come è impossibile dimenticare l’estroso trio ‘Gabionetta-Calil-Nalini’ alle spalle di Mendicino, un quartetto che, offrendo pochi punti di riferimento, annichilì il Benevento allo stadio Arechi. Una partita che ci rese definitivamente consapevoli, insieme ai 21000 assiepati sulle tribune, della nostra forza e della missione da portare a termine.
Nonostante gli ottimi risultati e una gestione invidiabile sul piano delle relazioni umane e della qualità calcistica, pure emerse, nella stagione vincente 2014-2015, qualche anomala critica sul suo lavoro, sia a livello di stampa, sia attraverso uno sparuto gruppo di tifosi che non si stancava mai di chiedere la sua testa. Crede si trattasse di una semplice contestazione calcistica di pochi, oppure ritiene che il tutto facesse parte di un disegno concepito da qualche figura operante dietro le quinte?
Questo non posso saperlo, anche se ricordo benissimo che alcuni amici mi avvertirono di un titolone decisamente offensivo apparso sulla prima pagina di un giornale locale. Più in generale, però, leggevo poco e raramente seguivo i dibattiti televisivi, perché dopo la gara tornavo a casa e il lavoro di campo, a partire dal martedì successivo, assorbiva interamente le mie energie mentali e fisiche. Sapevo benissimo di non potermi concedere il lusso di dissiparle inseguendo gratuite polemiche, che la freddezza e la lucidità dovevano essere preservate rispetto a tutto il resto. Se proprio devo esprimermi su questa questione, la mia amarezza fu verificare che gli affrettati e negativi giudizi iniziali di un gruppo ristretto di persone, legittimi considerando lo scetticismo imperante nei giorni del mio arrivo a Salerno, rimasero tali anche quando superai la prova del campo; un esercizio di disonestà intellettuale che, però, non scalfì minimamente la gioia e la soddisfazione ricavate dalla trionfale cavalcata verso la serie B.
Una promozione in serie B, due salvezze in cadetteria che sembravano ormai compromesse. Perché non è stato mai confermato e non le è stata mai concessa la possibilità di programmare dall’inizio un progetto tecnico a sua immagine e somiglianza? Avrebbe meritato questa chance?
Mi sono posto spesso questa domanda, ma una risposta non sono mai riuscito a trovarla, soprattutto dopo aver centrato la promozione in serie B. Io mi sarei confermato, la società ha ritenuto di dover fare altre scelte, puntando su allenatori giovani o con caratteristiche diverse. Però la soddisfazione di essere stato richiamato per ben due volte, condivisa orgogliosamente con la mia famiglia, è un’esperienza che mi gratifica e rende estremamente felice. Anche perché i due ritorni hanno contribuito a difendere la categoria, e adesso mi piace pensare che alla base di questa esaltante promozione in massima serie è presente anche un piccolissimo mattoncino collocato da Leonardo Menichini.
Parliamo un po’ del presente e del futuro immediato. La Salernitana ha vinto il campionato di serie B quaranta giorni fa, ma la sua programmazione calcistica in vista della serie A è ancora frenata dalla complessa vicenda societaria. Qual è il suo pensiero sulla multiproprietà nel calcio.
Diciamo, innanzitutto, che la linea per il futuro è stata già tracciata dalle istituzioni calcistiche, pertanto il tema non riuscirà più a monopolizzare le attenzioni e le preoccupazioni dei tifosi. Poi, è scontato che in uno stesso campionato non devono militare due squadre controllate dalla stessa proprietà. Detto questo, credo che Lotito non abbia mai gestito le sorti tecniche della Salernitana con il freno a mano tirato, che abbia sempre costruito squadre competitive e in grado di puntare quantomeno al raggiungimento dei play off promozione. Lo scorso anno, l’organico affidato a Ventura era già composto da calciatori importanti, così come numeroso e qualitativo era il gruppo affidato a Castori, anche se nessuno, francamente, avrebbe ipotizzato alla vigilia del campionato la promozione diretta in massima serie. Infine, un altro aspetto da non sottovalutare è la carenza di imprenditori disposti a investire capitali nel calcio. Risorse economiche che, sostanzialmente, arricchiscono il circuito e offrono opportunità in quei contesti in cui gli interessi imprenditoriali risultano pressoché assenti.
Come valuta il lavoro di Castori in prospettiva futura? Ritiene che il suo calcio solido e concreto possa essere redditizio anche in serie A, oppure pensa che, in un campionato così competitivo, sia fondamentale trasferire alla squadra anche un’identità tecnico-tattica più propositiva?
Castori e il suo staff hanno svolto un grandissimo lavoro, sono riusciti a trasmettere alla squadra concetti basilari quali lo spirito di sacrificio, l’importanza della compattezza del gruppo, la volontà di dare sempre il massimo e di non arrendersi mai. Insieme agli aspetti caratteriali e psicologici, dobbiamo però menzionare anche i meriti tattici del suo calcio privo di fronzoli: una fase difensiva difficilmente perforabile, premessa essenziale per vincere le partite capitalizzando poche occasioni da gol. Le tante realizzazioni sulle palle inattive, poi, non sono mai frutto del caso, ma sempre figlie di un lavoro settimanale. Non sono stati eventi fortuiti anche le vittorie ottenute nelle battute finali dei match; esse dimostrano la forza atletica, agonistica e mentale di un gruppo irriducibile. Inoltre, il trainer granata ha dovuto fare a meno per l’intera stagione di un calciatore fondamentale come Lombardi. Infine ho visto, nella seconda parte del torneo, cose interessanti anche sul piano della qualità della manovra. Castori può tranquillamente guidare la Salernitana anche in serie A, chiaramente dovrà essere supportato da una campagna di potenziamento tecnico adeguata al nuovo e difficile scenario calcistico.
Se le affidassero la costruzione della squadra che dovrà affrontare la serie A, opererebbe una vera e propria rivoluzione oppure punterebbe soprattutto sull’organico che ha vinto meritatamente il campionato? Su quali reparti, poi, focalizzerebbe la sua attenzione?
Una buona parte del mio percorso di allenatore si è realizzato accanto ad un maestro di calcio come Carletto Mazzone. Quattordici anni che mi hanno insegnato tanto, comprese alcune famose massime che sono diventate linee guida nel lessico calcistico nostrano. Mazzone amava ripetere che la serie A è un altro sport, una dimensione decisamente distante da tutti gli altri campionati. Il vero divario esiste tra la massima serie ed il campionato cadetto, mentre non di rado la storia calcistica del nostro paese ha registrato una doppia promozione dalla C alla A. Pertanto ritengo che la Salernitana debba essere per sempre riconoscente ai protagonisti di questa stagione, ma la struttura portante e l’undici base dovranno essere potenziati con diversi innesti di comprovata esperienza; scelta da non associare necessariamente all’intenzione di condurre a Salerno profili ultratrentenni. Elementi dotati di spessore tecnico, carisma, conoscenza profonda di un campionato estremamente difficile e competitivo, accanto ai quali potranno trovare spazio anche gli atleti che hanno vinto il torneo di B. La Salernitana è una neo promossa, saranno diversi i momenti difficili da affrontare. Risulterà di vitale importanza poter annoverare tra le sue fila calciatori abili a gestire le pressioni di una piazza innamorata della sua squadra di calcio ma anche molto esigente.
Lei ha avuto il piacere e l’onore di allenare campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano. Ritiene che il modo di relazionarsi con un atleta di livello superiore debba essere diverso dall’approccio comunicativo da instaurare con calciatori abituati a militare nelle categorie inferiori?
Partiamo dal presupposto che tutti i calciatori, anche quelli che militano in A da tempo, sono ragazzi più o meno giovani. Pertanto, anche loro hanno bisogno di essere orientati sfruttando i suggerimenti impartiti dagli allenatori. Ma il problema non si pone, perché, al netto di fisiologiche eccezioni, per arrivare a giocare a certi livelli devi possedere, oltre ai mezzi tecnici, anche una testa pensante che ti consenta di vivere disciplinatamente all’interno di un gruppo, senza protagonismi e deleteri atteggiamenti da primadonna. Se, poi, hai la fortuna di entrare in uno spogliatoio coeso come quello della Salernitana, dove tutti sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda, ti adegui in maniera del tutto naturale ai codici comportamentali seguiti dai nuovi compagni. Ho avuto Guardiola e Baggio al Brescia, Totti alla Roma e Signori al Bologna. Campioni sorretti da grande umiltà, sempre pronti ad accollarsi responsabilità notevoli nei momenti difficili di una stagione, un esempio per i compagni di squadra più giovani e meno blasonati. Fuoriclasse che non disdegnavano il contraddittorio tecnico-tattico con gli allenatori, senza mai eludere, però, il principio intoccabile del rispetto dei ruoli.
Da pochi giorni è terminata, con un doloroso esonero, la sua esperienza biennale alla guida della formazione ‘primavera’ della Lazio. Al suo posto è stato ingaggiato mister Alessandro Calori, che guiderà i suoi ex ragazzi nel doppio play out salvezza contro il Bologna.
Un po’ di amarezza c’è, inutile nasconderlo. Il campionato primavera, da quando hanno introdotto le retrocessioni, è diventato un torneo molto difficile. Una riforma che, in parte, ha mutato anche le finalità del calcio giovanile. Prima infatti, quando le retrocessioni non esistevano, venivano privilegiati i processi di crescita dei ragazzi, lo sviluppo e la cura dei loro talenti. Adesso, invece, la classifica ha assunto la sua valenza, come testimoniano gli esoneri di allenatori che, in precedenza, iniziavano e terminavano la stagione senza correre il rischio di essere sollevati dall’incarico. Abbiamo raggiunto la finale di Coppa Italia, dopo aver eliminato Inter ed Atalanta, prima di uscire sconfitti ma a testa alta dal confronto con la Fiorentina. Ho lavorato con la consueta scrupolosità, cercando attraverso una manovra ragionata di nascondere qualche limite dell’organico. Sono in pace con me stesso.
A dicembre compirà 68 anni. Desidera ancora mettersi in discussione, valutare un progetto calcistico che la intrighi, oppure comincia a pensare ad una graduale uscita dall’universo che la vede protagonista, nei panni di calciatore ed allenatore, da quasi mezzo secolo?
Nei miei piani, al momento, esiste solo una lunga vacanza. Mi servirà per resettare un po’ di situazioni ed amarezze, per riposare e indagare sui miei desideri e propositi. Se si materializzasse un progetto calcistico stimolante, cercherei di non farmi trovare impreparato sulla decisione da prendere.
Siamo arrivati ai saluti, mister. Vuole fare un augurio ai tifosi della Salernitana, già proiettati con la mente verso la dimensione affascinante della serie A?
Ai tifosi granata posso solo augurare tante gioie e soddisfazioni. Il ritorno in serie A, palcoscenico che meriterebbero di frequentare assiduamente, rappresenta la ghiotta opportunità di assistere a partite di grande livello tecnico, caratterizzate dalla presenza in campo di illustri campioni. Il divertimento è assicurato, alla pari dell’orgoglio di veder la propria squadra appartenere al gotha del calcio nazionale. Però, come ben sanno, sarà anche un torneo molto difficile, quindi dovranno essere sempre pronti, come la loro storia insegna, a sostenere i propri beniamini nei momenti in cui i risultati potrebbero non arrivare. L’obiettivo salvezza è alla portata di una tifoseria numerosa e passionale come quella granata, ma sarà importante approcciare la categoria sapendo che, prima di giungere felicemente al traguardo, tanti saranno gli ostacoli da superare. Dovranno vivere spensieratamente i momenti esaltanti della stagione, ma anche munirsi di una buona dose di pazienza e consapevolezza da mettere al servizio della squadra; la giusta miscela per affrontare corazzati il poderoso impatto con la serie A.
Buona vita, mister Menichini