más idők, más emberek
Altri tempi, altra gente.
Spiez, 18 luglio 1954
Spett.le Federazione Calcistica della Germania Ovest,
…Apprendo con sommo rammarico delle accuse del dott. Loogen, medico sociale della Vostra Nazionale ai Mondiali di Calcio di Svizzera, secondo il quale diversi calciatori tedeschi sarebbero stati infettati da un virus contratto nella struttura alberghiera che mi pregio di dirigere e rappresentare. L’illazione mi sdegna: nessun cliente o impiegato dell’Albergo risulta infetto. Piuttosto, il dott. Loogen getta fango per trovare un diversivo ai sospetti formulati da numerosi giornali tedeschi. Che cioè i loro giocatori siano stati eccessivamente drogati….
Firmato il Direttore dell’Hotel Belvedere
Londra, 25 novembre 1953
L’Inghilterra ha inventato il Calcio. L’Inghilterra sa cosa sia Calcio. L’Inghilterra, per diritto divino, indica al Mondo come si giochi al Calcio. Quel giorno, l’Inghilterra concede l’onore di calcare il Prato di Sua Maestà alla Nazionale d’Ungheria.
Hanno vinto un po’ a sorpresa le Olimpiadi di Helsinki l’anno prima. Stanno in campo in maniera fastidiosa agli occhi d’un Inglese, insopportabile direi. Senza un vero centravanti, per carità… Wembley li ospita colla puzza sotto al naso, non potranno far altro che giocare come sanno. Come sempre. Senza centravanti.
Inghilterra Tre, Ungheria Sei.
Il re è nudo. La supponenza albionica sconsiglia di mescolarsi ai Barbari nelle competizioni internazionali: l’isolamento ha lasciato indietro, troppo indietro l’Inghilterra, ora costretta ad inseguire. La prestazione dei Magiari, al contempo, esalta la stampa britannica: frastornata dai ruoli che si scambiano, ammaliata dalla tecnica di palleggio, sgomenta delle accelerazioni improvvise. Quello Danubiano è già calcio totale, vent’anni prima dell’Arancia Meccanica. Giammai scortesi, gli Ungheresi ospiteranno sul suolo patrio i Maestri per la rivincita: stavolta i gol sono sette. L’Ungheria non perde da tre anni. I Mondiali di Svizzera non potranno che avere un solo, indiscutibile padrone.
Berna, 4 luglio 1954
Ferenc Puskás, fulgida rappresentazione del fuoriclasse in qualsiasi ruolo in attacco. Sándor Kocsis, il più grande colpitore di testa all time. Nándor Hidegkuti, primo uomo sul Pianeta ad esibirsi da falso nueve. E tutti gli altri. Generazione di Fenomeni, fiorita nella stessa Terra per irripetibile congiuntura astrale, ha rispettato il pronostico ed è arrivata in fondo ai Mondiali in carrozza. Venticinque gol in quattro gare, otto solo alla Germania Ovest, distrutta nel girone e giunta da sparring partner in finale. Sono in molti a chiedersi: cosa giocano a fare?
Nell’immediata vigilia Eupalla cede la scena a Giove Pluvio: il nubifragio fuori stagione riscrive i trattati di meteorologia elvetica. Il campo è pesantissimo e lo spogliatoio dei Panzer riceve una visita inaspettata, tuttavia provvidenziale. C’è un tizio che produce e vende scarpe per lo sport. Fornisce ai Tedeschi calzature chiodate: la diavoleria funziona, risulteranno performanti in misura decisiva. Un certo Adolf, Adolf Dassler per gli amici Adi. La contrazione del nome darà luogo al marchio di articoli per lo sport che cambierà le regole d’ingaggio. Vi dice niente Adidas?
Pronti via, l’Ungheria va avanti di due. La Germania Ovest incassa, barcolla ma non molla. Trova il 2-1 e ci crede. Le scarpe di gomma dei Magiari slittano sul bagnato, pali e traverse calamitano i tiri ungheresi e come d’incanto è 2-2. L’Ungheria continua a macinare gioco ed azioni, è un tiro al bersaglio che esalta Toni Turek: estremo teutonico, ispirerà le truci gesta di Harald Schumacher e nel secondo tempo dà luogo alla parata più bella della Storia del Gioco. Le energie dei Magiari vengono meno, com’è naturale che sia, la Germania si produce invece in un inspiegabile crescendo: indifferenti alla fatica, mettono il 3-2 e materializzano il Miracolo di Berna.
Pochi giorni dopo il Trionfo, molti dei calciatori tedeschi sono colpiti da un virus epatico che risulterà invalidante nel prosieguo della carriera. Doping? La Federazione fa spallucce ed i riscontri vengono sottaciuti. Non per sempre, invero. Risultò di tutta evidenza quanto innaturale fosse stata la prestazione degli sfavoriti. I quali incisero la Germania sull’Albo d’Oro, e non solo lì. La vera notizia, tuttavia, fu che Grande Ungheria era stata sconfitta.
Budapest, 4 novembre 1956
Secondo Joachim Fest, biografo di Adolf Hitler, la Storia della Germania del Secondo Dopoguerra inizia per davvero col Miracolo di Berna. Quella sera, le note del Deutschland über allesvengono intonate fuori dai confini tedeschi: non accadeva dal Terzo Reich. Un Popolo intero riacquisisce diritto d’albergo in quel vecchio, pazzo mondo.
Non fu solo una sconfitta sfortunata, per converso, per la formazione più bella di sempre. La definirono Aranycsapat, la squadra d’oro: ambasciatrice del Paese nel mondo, officina d’uno spettacolo degno delle Belle Arti, irripetibile momento di gioia d’un Popolo cui il Comunismo venne imposto nel terrore. Laboratorio calcistico e politico in uno, con la Nazionale l’Ungheria s’illuse di libertà. La Coppa Rimet del 1954 fu una beffa: non ci sarebbe stata tuttavia una seconda occasione.
Il processo di destalinizzazione deflagra coi ragazzi di Buda, coi ragazzi di Pest: agli studenti del Petőfi si aggiungono operai e soldati. L’Ungheria si scaglia per strada contro l’Unione Sovietica. Il 4 novembre 1956 il rumore dei cingolati fa da preludio alla rappresaglia cruenta dell’Armata Rossa. L’Ungheria torna normalizzata. È un martirio.
Quasi tutti impegnati in Spagna con la Honved, i calciatori si rifiutano di tornare nella Patria sporca del sangue dei fratelli: la Squadra d’Oro, che la Rivoluzione aveva ispirato, nella Rivoluzione muore. Dal Miracolo di Berna in giù, la Germania non ha smesso di vincere, consegnandosi alla Storia. Ch’è puttana di chi la scrive, e la scrive chi vince.
Negli annali non v’è traccia, eppure c’è stato un tempo in cui i campi di calcio d’Europa ospitarono la Mostra d’Arte itinerante, che impose al Gioco la Rivoluzione del Bello.
Non vinse i Mondiali. Concetto effimero, Vittoria, per gli Uomini che si consegnarono all’Immortalità.