Niente vendita diretta, alla fine il vestito con cui la Salernitana è stata ammessa al tavolo della Serie A è quello del trust. Un istituto giuridico che, dopo un serrato batti e ribatti all’ultimo paletto con la FIGC, permetterà all’ippocampo di figurare tra le venti squadre del massimo campionato di calcio. Ma figurare, purtroppo, non è sinonimo di competere, e – allo stato attuale – la storia può anche finire qui.
Perché la situazione, per chi ancora non se ne fosse reso conto, è la seguente: la Salernitana si presenterà tra mille difficoltà ai nastri di partenza, tra la necessità di vendere la società entro il 31 dicembre, una squadra da rifondare in toto (dieci colpi sarebbero anche pochi), e un budget che – salvo immediata cessione della società da parte dei due trustee – è lontano anni luce dalle possibilità economiche di chi vuole anche soltanto pensare di giocarsi la salvezza.
Anche perché, nel frattempo, il Venezia ha iniziato a rinforzare il suo organico – pur se con nomi non illustri – e sogna Giovinco, mentre l’Empoli potrebbe piazzare l’ottimo doppio colpo Piccoli–Kovalenko dall’Atalanta. Il cavalluccio marino, invece, ha ricevuto solo pochi giorni fa l’ufficialità della sua iscrizione al campionato: ciò basta e avanza ad evidenziare quanto grossa sia la criticità dello scenario in casa granata.
La causa di tutto ciò, inutile girarci intorno, sta in quella fallacia calcistica che risponde al nome di multiproprietà. Quella norma – disciplinata dagli artt. 7 dello Statuto Federale e 16 bis delle NOIF – che in tanti hanno etichettato come una questione di facilissima risoluzione, un qualcosa che non avrebbe dovuto mettere ansia tra i sostenitori dell’ippocampo. In altri termini, un “falso problema”.
Eppure, si tratta di quella stessa norma che ha costretto la Salernitana in deroga per diversi anni, e ha trascinato a Salerno decine e decine di calciatori letteralmente parcheggiati, tra esuberi laziali, svincolati di ogni tipo e giocatori dei soliti procuratori. Un cordone ombelicale che ha strappato all’ippocampo alcuni dei suoi migliori talenti (Akpa Akpro, Cicerelli e Novella solo per citarne alcuni) e ha comportato cinque campionati di totale anonimato, prima della sorprendente (e insperata) promozione in massima serie.
Una norma capace soprattutto di far sì che, a livello nazionale, una squadra con oltre un secolo di storia venisse riconosciuta come satellite della primogenita biancoceleste di Claudio Lotito. E poi, ragionando sull’attualità, la multiproprietà è anche il motivo per il quale un popolo intero, dopo aver atteso 23 anni esatti, ha dovuto aspettare con trepidazione altri 58 giorni per avere la sicurezza di una promozione conseguita sul campo, la cui ufficialità di fatto è arrivata a soli 46 giorni dall’avvio della Serie A 21/22: oltre che un unicum, si tratta di pura follia sportiva.
Inoltre, la multiproprietà – da sempre il vero problema di fondo, inutile girarci intorno – è anche alla base dei punti chiave dello scenario prospettato per le prossime settimane: a partire da un assetto societario privo di risorse umane ed economiche di qualità, costretto ad un calciomercato che, al momento, risulta davvero difficile definire da Serie A; senza dimenticare un amministratore unico (Marchetti) e due rappresentanti dei trustee (Isgrò e Bertoli) le cui facce e voci restano perfettamente sconosciute alla piazza; infine, l’assoluto divieto di trattative con la Lazio, che lo scorso anno ha rappresentato (con ben 9 elementi in prestito) la solita base della rosa della succursale, e che quest’anno non potrà avere la medesima funzione.
Ci sarebbe tanto altro da dire, su quanto si è visto, scritto, detto, letto e soprattutto omesso in questi anni, ma la conclusione è presto tratta: la multiproprietà, oltre ad essersi rivelata il vero male per le sorti della Salernitana per un intero lustro, continuerà a tenere in ostaggio la passione di una città e di una tifoseria che meriterebbero ben altro per il terzo campionato di A in 102 anni di storia. E con il trust poco cambia, se non un vocabolo giuridico. Lo scenario è apocalittico, solo una cessione lampo e un calciomercato di livello ribalterebbero le sorti di una stagione che sembra già avere il gusto di un’interminabile agonia. Anche perché i miracoli come la promozione dello scorso anno, si sa, rappresentano l’eccezione e non la regola.