“Penso a delusioni, grandi imprese”.
È tutta una questione di centimetri: quelli che mancano, quelli che recrimini, quelli che ti condannano.
Avrebbe dovuto indossare il vello della vittima sacrificale, la Salernitana. Eppure – al cospetto dello squadrone che il mondo fe’ tremar – per una settantina di minuti ha vestito la toga purpurea.
Non per scomodare Al Pacino, né quelle maledette domeniche che avevamo preventivato: questa squadra è rognosa, rabbiosa come un fumatore all’ultimo tiro, difficile da scoperchiare ma limitata.
Cartoline di un pomeriggio: felicità intervallate da svarioni. Laddove un ragazzo nato a Thiès – in Senegal – ha disegnato un arcobaleno di interno sinistro che ha fatto rima con lo stupore di una città. Felicità e svarioni, appunto, come la marcatura blanda di Pawel su Marko. Il doppio schiaffo ricevuto da Lorenzo, poi, rappresenta pienamente il nostro feticismo per l’inconsueto: da Cannavaro a Nesta, porgiamo la guancia a chi ha pochi gol nel contachilometri.
Se è vero che – parole del Maestro – nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino, beh! Qualcuno si è perso, o meglio: è stato perso. Provate a chiedere a chi doveva presidiare gli ultimi sedici metri in occasione dei calci d’angolo incriminati.
Serviranno innesti di qualità, ché di sostanza ce n’è fin troppa. Ma, almeno per oggi, lasciateci essere orgogliosi: la Salernitana si è affacciata al salotto buono, ha calpestato il divano con le suole sporche per poi pagare dazio a geometria ed inesperienza.
Può capitare, certo. Il viaggio, del resto, è appena iniziato. Anzi, la nave è ancora ormeggiata. Verranno le tempeste, senz’altro, starà a noi trasformarle in tempo di bonaccia.