I ritorni, alle abitudini che ci fanno sentire noi stessi, in attesa dell’inizio di ciò che aspettiamo.
Ricordate il green pass, componente nuova che mantiene viva la nostra passione di questi tempi, pronti a salire su ogni mezzo verso gli stadi, capaci di renderci tutti innamorati, di un pallone che innesca sentimenti di ogni tipo.
Ma se ci guardiamo allo specchio, allora qualcosa nascosto negli occhi c’è, nonostante quella sofferenza che ci ha tenuti troppo lontani.
Siamo lì mentre osserviamo le prime sgambate, qualche urlo verso il terreno di gioco, in attesa di un gesto che riempie il cuore, di chi ha bisogno della vera essenza del calcio.
Il “Bentegodi” è il fischio di Volpi, un passaggio verticale per il piede fatato di Raspadori che promette magia, seguito dalla meraviglia di un calcio targato Sassuolo. Ci prova Zaccagni con orgoglio, ma si va avanti poiché il ritmo sembra quello giusto.
San Siro, cessioni illustri ma nessuna voglia di sfigurare. Cinque minuti per gonfiare la rete usando la testa, la “cannonata turca” decreta l’inizio di una nuova vita, il terzo è un sigillo cileno pieno di riscatto, fino al poker di chi non poteva non partecipare al festival del gol.
Il passato non si cancella, una lacrimuccia scende perché la gratitudine non morirà mai. Bandinelli suona la prima nota empolese, ma il Sarrismo contagia alla perfezione Sergej che apre un varco per Lazzari, con il punto esclamativo di un Re che, con una scarpa d’oro, vuole continuare a governare.
Ecco la meraviglia di una favola pronta a diventare certezza, Muriel è la precisione mentre il Gallo fa battere il cosiddetto “cuore granata”. Più Toro che Dea, ma il calcio è strano e non conosce molte regole, poiché all’ultimo respiro vince il coraggio di Piccoli, autore di un’estasi bergamasca impossibile da descrivere.
Granata in scena al “Dall’Ara”, in gol nonostante l’inferiorità numerica, due volte in vantaggio onorando la maglia che simboleggia una storia iniziata nel 1919. Entusiasmo che non si spegne nonostante tutto, un grido d’aiuto parte dalla panchina, perché l’imperativo è battagliare in nome di una piazza che sognava la categoria.
Sembrano perfetti, quei binari tracciati da una squadra targata “Allegri Bis”, ma è evidente che “ci vuole molta calma ed equilibrio”.
Dybala disegna percorsi a dir poco perfetti, una luce negli occhi alimentata da una certezza colombiana, rovinata da una doppia disattenzione che concede il pari, con una beffa finale che strozza l’urlo, dopo il gol del “Re” costretto a rimandare la festa.
Il verbo “stupire”, pronunciato in modo perfetto dall’ultimo arrivato. Si chiama Abraham, colui che alla corte di Mou incanta, seguito da quella certezza ritrovata di nome “Veretout”.
Fuorigrotta accoglie eroi europei ed una neopromossa proveniente da lontano, un po’ di incertezza dal dischetto ma superata dopo soli 5 minuti, perché il capitano è lì e guida il suo Napoli verso la prima gioia casalinga.
Privi di chi li ha resi un’identità e non una comparsa, intenti a non sfigurare sotto la guida di un nuovo tecnico, raggiunti da chi per il Cagliari è qualcosa di magico: “Joao Pedro”.
Blucerchiato è il colore che accoglie il diavolo rossonero, Maignan infila i guantoni e inizia a scrivere la storia, letta e rispettata da chi con coraggio ha scelto la casacca numero 9, mentre un nuovo numero 10 regala i preziosissimi 3 punti ai ragazzi di mister Pioli.
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