Si sta come d’autunno: la Salernitana è lì ed è ostinata, altroché.
È brezza che si nutre di sogni e chilometri. La grinta, quella di sempre, conduce al Picco; mancheranno i cambi, non il valore.
La Salernitana è, oltre tutto, la sua gente. Quella che — anima in spalla — varca ogni frontiera. Affronta ogni capriccio del clima, ogni rovinosa caduta.
Sugli alberi le foglie: la Salernitana è lì ed è sospesa, altroché.
Sospesa fra i giorni da appuntare sul calendario — di giugno in luglio, di settembre in novembre — e quella nebbia, trapiantata dal Diritto Anglosassone, che nulla lascia intravedere. Se non il sospetto — più che legittimo, conoscendo gli avventori — che sia un abile gioco al rinvio.
Lotito chiama, De Laurentiis vede.
E Gravina? Terrà il banco, ovviamente.
Il trentuno dicembre, intanto, è sul margine destro del calendario: non puoi proprio sbagliare.
Morieris, non quia aegrotas, sed quia vivis.
Le rassicuranti rassicurazioni, d’un tratto, accorrono Angeliche. Sospirate, come sempre, ai quattro microfoni.
Ma, tant’è. La chiarezza — oltre che ristoro degli amici — è un sottile jeu d’élite.
Un’attesa che, fra fucilazione e salvacondotto, si tramanda. Non più questione di padre in figlio, né di anno in anno.
Ma evidenza che si protrae di comunicato in comunicato, di gettone in presenza, di Generale in consulenza, di proroga in sentenza, di rinascita in decadenza.