Il tempo degli addii malinconici, panchine al tramonto e fondali limacciosi. Per un Castori costretto a salpare — con modi fermi ma gentili, così indica la radio di bordo — c’è un Colantuono che approda.
Parliamo d’uomini e sentimenti, cosicché l’editoriale scorra ambrato.
Nient’altro che diapositiva melliflua del reale, addolcisce di retroscena quel che — sic et simpliciter — dovrebbe stimolare solo disgusto.
Inutile giocare al piccolo alchimista: il liquame non diventa miele e viceversa.
Scrivere di moduli e scelte di campo, poi, è come ripararsi col segno della croce mentre l’aereo — orfano del segnale della torre di controllo — è in picchiata verso il suolo.
Il presente, per questo, esula dalla prosa e non ha bisogno di additivi. Quel che vive Salerno — costretta a prestare il collo alla ghigliottina delle date — rende pan per focaccia alle evidenze matematiche.
Gli uomini, barattando la voce coi chilometri, viaggiano: continueranno a farlo. Fanno i tifosi, del resto.
Non è questa la richiesta mutuata dai sottoposti sgrammaticati?
La Salernitana formato campo — volendoci soffermare per un millisecondo — è sicuramente un collettivo di veri uomini, anch’essi in viaggio per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.
Magari — inutile crocifiggerli — poco consoni alla categoria, ma combattivi. Assunto ripetibile all’inverosimile: mancò la qualità, non l’ardore.
Un conto, in effetti, è il sangue e arena della cadetteria: laddove puoi ambire al massimo con l’avallo della Dea bendata e della volontà. Tutt’altro sono le sferzanti brughiere della Massima Serie: laddove la volontà produce sorrisi di compassione e la Fortuna devi conquistartela minuto per minuto.
La paternità del progetto tecnico, inoltre, rimbalza di intenzione in intenzione. Un incrocio di destini, sicuramente una strana storia: il Generale in déshabillé e il Galantuomo dal pugno di ferro. Quasi comari, ultimamente.
Sorprese ad additarsi dalle tapparelle dell’House Organ Ufficiale e dalle antenne amiche di Via Palestro.
L’allestimento dell’organico non è farina del Generale Marchetti, ci mancherebbe pure. Il Generale — a quanto dice — amministra e non allestisce, ci crediamo.
I meriti, considerato il pregresso, sono attribuibili ad Angelo Fabiani: Castori ha prestato consenso, più che potere decisionale.
È il totale che fa la somma, la procura che lastrica le strade: le fasce di percorrenza restano le stesse, il canovaccio pure.
La Salernitana formato Trust, invece, è merce giurisprudenziale e poco più. Barcamenata, di proroga in proroga, fra i falò estivi e le attese — fra accordi di luna e chitarre scordate — nell’anticamera del Gran Collegio Federale.
La vicenda tamponi è solo l’ultimo atto di una pièce simil-drammatica in cui i protagonisti — Claudio Lotito e Gabriele Gravina — fingono di darsi addosso per poi scoprirsi consanguinei: l’epilogo scritto da un patteggiamento e una stretta di mano.
Due mesi di inibizione in luogo della mannaia, senz’altro un buon affare per entrambi.
Individui, peraltro, appartenenti alla stessa gens: dall’ego ipertrofico e la voracità per gli incarichi istituzionali.
Si producono, così, in tira e molla di facciata: tanto poco convinti, quanto pregni nella scenografia.
La Salernitana — qui ed ora — è pomo di una discordia cinematografica, un platano piantato al confine di due proprietà. Intanto il vassallo — colui che dovrebbe amministrare — lenisce i silenzi col calamaio, il Signorotto — disinteressatamente interessato: cessione sottende pecunia – va a duellare per diletto, i guardiani tacendo procrastinano e la forza lavoro — allo sbaraglio — prepara due sfide salvezza in rapida successione.
Immune alla falce e alle stagioni, quasi inutile parlarne: ha due nomi, un pedigree e un cognome, si serve di scudi umani e addetti alle fotocopie.
Capibranco in disarmo, devoti al sottobanco e alle frivole luci di una notorietà a gettoni.
È questo il futuro che merita Salerno? Un passato tentacolare che prova a perpetuarsi?
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