“Si torna sempre dove si è stati bene”.
Non è il convincente refrain di un villaggio vacanze, proprio no.
È ciò che avrà pensato Stefano Colantuono, in maniche di camicia, inforcando il tunnel che dalla rabbia della Sud conduce al prato.
Scelta avallata dall’indole di Stachanov o dalla convenienza keynesiana? Tanto retorica la domanda quanto scontata la risposta.
Passato, in appena due settimane, dallo speciale di Dazn a riva di mare alla fuga precipitosa. Pressioni della piazza poi tramutatesi in gravi motivi familiari: dissero allora, confermano oggi.
Il minimo comune denominatore, comunque, è spalare merda su Salerno: Lotito insegna, parte dei tifosi — i veri tifosi — persevera.
Poco conta il passato, è materia opinabile. Un po’ come il calcio, difatti. Perdere lo scranno sotto la cattiva stella di una sconfitta a Carpi (il Carpi five stars di Castori), riconquistarlo per una sconfitta a La Spezia (Lo Spezia, non più di Italiano), rivederlo traballare per la figura barbina di tre gol subiti dopo appena tredici minuti.
Si ritrova, comunque, nuovamente in sella, a cavalcare idee non sue: calate dal basso, tra l’altro.
Perché dal basso?
Semplice, semplicissimo. Può mai essere associato al sostantivo “alto” quel che proviene dal paniere di Angelo Mariano?
No, rispondo io per tutti.
Discontinuità, valore ignorato dalla giurisprudenza, dalla Federazione e finanche dagli altoparlanti.
Gli stessi altoparlanti che, beffardi, irrorano con Semplice di Togni le guance dignitose e stravolte dei padroni di casa.
Inno di casa Lazio, a qualcuno forse piace: non a chi scrive.
Senza soffermarci sulla scelta operata per il commento tecnico: è Sergio Floccari, castigatore e poi placebo utilizzato in più versioni.
Comunque.
Parte forte l’Empoli, forte è pure poco. Spinto dalla voglia — inaspettata — di flirtare col gruppo nobile della graduatoria.
Parte forte, anzi fortissimo dicevamo.
È attacco banale per lanciarsi nell’interpretazione della gara?
Avete ragione. Beh, pazienza.
Basta una leggibilissima verticalizzazione di Bandinelli e un piatto morbido e stentato servito da Pinamonti.
Zero a uno, normalità partire con l’handicap da queste parti.
Evidenze di un collettivo poco avvezzo all’attendismo. Siamo al cospetto di due realtà laureatesi nella stessa sessione: l’una a pieno merito, l’altra per mano di una commissione benevola, bendata e stranamente sorridente.
Come il tormentone sudamericano dell’estate, quello che non sopporti e ti rende vittima:
Uno, dos, tres, cuatro.
A poco serve la rincorsa di Belec su Pinamonti — reo di una doppietta impreziosita dal rigore alla Panenka — se la figuraccia è servita su un piatto di ceramica vietrese.
A poco serve il doppio sussulto, concesso dall’odiatissimo Ranieri — qualcheduno lo chiamò “signorino” — e la carambola che bacia palo e rete per un inconsueto ménage a trois con il gol.
La vergogna è schiaffo che non puoi procrastinare, checché vogliano romanzare i due telecronisti: orchestrare contromosse offensive, il tutto prestato alla nobilissima narrativa calcistica. Esercizio futile laddove poi, inutile prendersi in giro, regna il casuale garibaldinismo.
La Salernitana, ordunque, deve ripartire dalla sua gente. Mai successo, vero?
Arriverà senz’altro, inutile scemunirsi oltre, la retrocessione. Conseguiranno ulteriori figurelle stercorarie.
Conta poco, molto poco. Soprattutto laddove qualcuno urlerà:
“Fate i tifosi!”
Risponderemo, inutile irretirsi. Risponderemo (qualcuno si adoperi pure nella nobile arte della querela immaginata): “Inutile ed acquisibile pezzo di merda, i tifosi sappiamo farli benissimo”.
D’altronde, Google Maps per il Penzo è già impostato. E, sorpresa delle sorprese, vi giungeremo senza accrediti né lasciapassare.
La dignità, d’altronde, vale ben più del santino del Direttore che qualcuno espone sulla parete del covo, un po’ più in alto rispetto a — ascoltate pure e non trasalite — Nostro Signore Gesù Cristo in croce.
La Salernitana, sia ben chiaro, non è valore individuale: è forza popolare che voi non potete capire.
Ci mancherebbe, pronati come siete a una figura che, presto o dopo, sparirà: nel dimenticatoio di una Storia Ultracentenaria.