Editoriale

Liberare la Salernitana (e il calcio) dal giogo dei biechi affarismi e delle reticenze politiche

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In una delle settimane più dolorose della secolare storia calcistica della Salernitana, la mortificante batosta subita ad opera dell’Inter sembra rappresentare il fondo oltre il quale non sia più possibile spingersi. Uno stillicidio di sofferenze crescenti, al cospetto delle quali anche la vis morale di un antico guerriero farebbe fatica a non crollare al suolo. Difficile parlare di calcio giocato quando presente e futuro si mescolano e generano sconforto e preoccupazioni indicibili.

Le naturali e inevitabili ansie provate dalla tifoseria granata alla vigilia del torneo, che avevano impedito alla città di godere appieno l’inattesa promozione in massima serie, hanno impiegato poco tempo a trasformare un fragile sogno in un incubo interminabile.

Complicato, per non dire impossibile, reperire qualche indizio incoraggiante a cui appigliarsi per scongiurare un accanimento terapeutico che investe sviluppi societari e tutto ciò che si muove all’interno del rettangolo di gioco.
Se la stanchezza accumulata dal popolo granata si potesse pesare e grazie ad un provvidenziale artifizio magico tramutarsi in un opposto fenomeno colmo di gioia e soddisfazioni, il risultato vedrebbe Ribery e compagni veleggiare, trainati da una proprietà finalmente meritevole di attenzioni ed elogi, in un mare ricco di gratificazioni e ambiziose mete da attraversare.

La Salernitana è ormai un caso che fa notizia in tutti gli anfratti pallonari del pianeta, prigioniera di un destino che non si augura neppure alla più acerrima rivale. Perché in certi contesti, nei quali l’onore, la fierezza e il rispetto della passione viscerale prevalgono su tutto il resto, la rivalità viene accantonata e subitaneamente sostituita dalla consapevolezza di dover tributare un oggettivo riconoscimento a chi, come la tifoseria al seguito dell’Ippocampo, è stata fin troppo violentata per godere delle sue sofferenze pure sul terreno di un’antica inimicizia.

Lo scempio a cui stiamo assistendo, diretta conseguenza di una gestione societaria decennale connotata da improvvisazione e cinica anaffettività, reso ancora più intollerabile dalle opportunistiche e vili dinamiche politiche registrate nei palazzi calcistici romani, è un offesa perpetrata ai danni della passione popolare che guida questo meraviglioso sport.

Tanti sacerdoti indegni hanno violato – e continuano a violare impunemente – un tempio che rischia di smarrire la sua intoccabile sacralità. Se non si vuol lasciare morire il calcio e spegnere il fuoco intimo delle genti che, nonostante tutto, continuano a mantenerlo in vita, l’esperienza vissuta a Salerno dovrebbe rappresentare un gigantesco monito su ciò che in futuro non dovrà essere più consentito.

E, soprattutto, immortalare un precedente contro il quale aizzare una massiccia coalizione virtuosa che, riposte per un tempo breve conflittualità ataviche, si preoccupi soprattutto di salvaguardare la dignità universale della fede calcistica.

I lettori ci scuseranno, ma questa volta abbiamo scelto di trascurare gli aspetti tecnico-tattici e soffermare la nostra attenzione sulla necessità di mobilitare coscienze e tenderle verso l’unico scopo degno di considerazione: impedire che le emozioni vitali sulle quali si sorregge l’immensa galassia pallonara continuino ad essere calpestate da beceri opportunismi e giochi di potere assortiti.

Ci piacerebbe parlare dell’unica strada da imboccare (doppia vittoria contro Udinese e Venezia, le prossime due tappe del campionato granata) per continuare ad inseguire la speranza di strappare la permanenza in serie A, ma adesso la vera priorità è liberare per sempre la Salernitana dai biechi affarismi e dalle reticenze utilitaristiche che intralciano il suo futuro.

Maurizio Iuliano

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