Anosmia, ciò che ti priva del freddo pungente del Bentegodi.
Stavolta non puoi affidarti alla stessa ragione del viaggio, viaggiare.
Si rischia il penale se ti affacci sul pianerottolo, figurarsi a percorrere 740 km: obbedire, starnutire, combattere.
Brevi linee sorpassano il 37: non è il contachilometri, adesso è il termometro a ricordarti che esisti.
Allora accomodati sulla poltrona, col plaid come striscione e il telecomando come torcia. Con l’App del fantacalcio in grembo, un po’ bollettino, un po’ DeLorean che ti riporta alla primavera del ‘16.
Occorre armarsi di fazzoletti e Vitamina C, passerà anche questa giornata. Passerà questa variante che risponde alla “o” breve dei greci. Passerà anche la Deltacron: un tandem — ahinoi — più prolifico del Gondjuric, o Djondo che dir si voglia.
Non puoi fare altrimenti, la vita è attesa: di guarigioni, sussulti e nuove società.
Non concede ristoro neanche il lambiccato dei giorni di festa, che poi pare acqua al netto dei sintomi: alcun sentore al palato, solo giramenti di testa. Ce li faremo bastare.
Verona – Salernitana è un intermezzo insipido, fra lo strapotere delle Asl e lo scaricabarile delle Leghe: ventimila sotto i mari, sopra i ponti, sugli scranni.
Ché, nell’era dei decreti, il sub iudice è l’unico vaccino che preserva dalla matematica: almeno fino a stasera.
Uno stuolo di ragazzi, poco più che quelli giusti dal punto di vista numerico.
Era iniziata bene, è finita meglio. Il Presidente in pectore — lui sì, esperto in comunicazione — incita la squadra, accarezza la Piazza. E se l’inoffensiva gita sul biondo Adige si trasformasse in campagna militare?
Assedio, sangue, arena e ripartenze claudicanti: il bolide di Djuric, il taglio di Lazovic e la pennellata di Kastanos.
Un tampone amaro per gli scaligeri: chi sfotte rimane sfottuto; chi sottovaluta, anche.
La vittoria è nettare per la classifica, musica per queste orecchie, sprone per chi verrà. Inaspettata e sofferta, manna per chi nulla ha a che pretendere (se non l’approvazione del bilancio).
Veloci! Ché morto un 31 non se ne fa un altro.
E il 32 dicembre pure è alle spalle, benché Cannavale scaldi la panchina.
Che dite? L’avete trattenuto abbastanza il nostro scalpo?
Il nuovo, alla porta da nove giorni, ha già dimostrato signorilità e attaccamento (più di quanto possiate ostentarne voi e i vostri avi, da qui al 1265).
Non fateci perdere altri giorni. Se non si vuol rendere estemporanea la gioia, bisogna agire.
L’agire coincide con la vostra marmitta che disegna nuvole nere sulla bisettrice di altri orizzonti.
Così sia.
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