Tra i tanti dubbi, di formazione e di natura societaria, che hanno attanagliato la piazza nel recente passato, Milan Djuric ha sempre rappresentato una delle pochissime certezze. Non un calciatore qualsiasi, ma, a tutti gli effetti, il primo tifoso in campo. In questi anni trascorsi all’ombra dell’Arechi, il buon Milan non si è mai risparmiato. Innumerevoli le sportellate, date e ricevute, per far salire la squadra e aprire il gioco, condite anche da un discreto numero di gol spesso determinanti.
La gara col Milan non può e non deve essere considerata come frutto del caso, bensì come la punta dell’iceberg di una serie considerevole di prestazioni di altissimo livello, specie dal punto di vista del sacrificio. Non è un caso se Tomori, non certo un “signor nessuno”, abbia fatto enorme fatica a contenerlo, perdendo sistematicamente ogni duello aereo. Non è un caso se, con i cross che arrivano dal fondo, abbia maggiore confidenza con il gol. Le 12 reti messe a segno sotto la gestione Ventura sono emblematiche in tal senso. Come è emblematica la scelta, di Colantuono prima e Nicola poi, di affidare le chiavi dell’attacco al gigante bosniaco nonostante la rivoluzione tecnica di gennaio attuata da Walter Sabatini. Milan Djuric, nella gara di sabato, si è preso l’ennesima rivincita nei confronti degli ormai pochissimi detrattori che, in questi anni, non hanno lesinato critiche talvolta completamente fuori luogo. Una prestazione sublime, sugellata da un gol splendido, che ha regalato nuova consapevolezza non solo a sé stesso, ma all’intero gruppo.
Sabatini, che ne aveva già tessuto le lodi appena giunto a Salerno, sembra ormai pronto a rinnovargli il contratto in scadenza il prossimo 30 giugno con il bene placido del presidente Iervolino. Un giusto, sacrosanto riconoscimento per un professionista esemplare che non ha mai smesso di lottare per i colori granata. E chissà che, come nei più romantici dei lieto fine, la salvezza non possa arrivare grazie ad un’altra frustata sotto la Curva Sud Siberiano.