Editoriale

La resilienza di un gruppo generoso e in crescita per domare l’aeroplano in avaria ereditato dall’era Lotito

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Maledetta fretta. Che ti costringe ad ingoiare tutto velocemente, senza avere il tempo di assaporare gioie e delusioni, esecuzioni ben riuscite e tentativi bisognosi di provvidenziali correttivi. La macchina senza freni – ‘mollata’ dalla sciagurata gestione societaria precedente in una discesa ripida a rotta di collo – prima di essere stabilizzata ed essere ricondotta sulla retta via, deve patire l’inevitabile sgomento che accompagna la sensazione di precarietà degli uomini.

Ed allora capita che, pur registrando gli oggettivi miglioramenti della creatura rivisitata, corretta ed affidata alle sapienti mani del neo tecnico granata, il precipizio di una classifica severa ti imponga di familiarizzare con la sgradevolissima prospettiva dello schianto inevitabile. Come un pilota impegnato tenacemente a mantenere in quota un aeroplano in avaria, mister Nicola deve conservare la necessaria freddezza, se vuol continuare a credere ciecamente nella possibilità di salvare una stagione nata sotto cattivi auspici.

La vittoria contro il Bologna non è arrivata. La prima, piccola svolta agognata dall’intero universo granata, pur cercata con impeto e attraverso le crescenti migliorie tecnico-tattiche, non ha ancora deciso di premiare il lavoro senza soste intrapreso dal gruppo e dal suo condottiero. Un progetto affascinante ed impossibile allo stesso tempo, che accomuna tutti, protagonisti abituati ad esibirsi indossando abiti da gala, generosi mestieranti sempre caparbi nella ricerca del superamento dei propri limiti, giovani interessanti coraggiosamente proiettati verso una dimensione professionale da conquistare a tutti i costi.

La mano di Perotti che percuote rabbiosamente la propria coscia prima di un corner, le generose uscite dalla linea difensiva di Fazio, il disperato tentativo di Djuric di deviare in porta il pallone proveniente dalla fascia destra, le ripartenze avversarie neutralizzate e le controfughe di un irriducibile Lassana Coulibaly, il chirurgico e vincente tiro di sinistro di un Zortea entrato in campo già pronto a sostenere la battaglia. Tutto questo è rimasto negli occhi e servirà, accantonata la delusione di ieri, come punto di ripartenza alla ripresa degli allenamenti.

La resilienza è prerogativa degli uomini forti, che imparano a convivere con i fisiologici scoramenti e i perenni ostacoli incontrati lungo il cammino.

Dal punto di vista tecnico-tattico, al netto dell‘assenza di un Bonazzoli che sarebbe servito come il pane con la sua capacità di coordinarsi subitaneamente e trovare la porta, la squadra si è presentata in campo con un 4-2-3-1 molto elastico in entrambe le fasi di gioco.

Come era già accaduto contro il Milan, Ribery e compagni hanno impresso sin da subito ritmi alti alla contesa, cercando compattezza, aggressività e circolazione veloce di palla nelle zone di campo in cui quest’ultima scivolava, inserendo nella strategia tattica l‘imbucata centrale da affiancare alle percussioni laterali dell’incessante Mazzocchi.

Il primo tempo dei granata è stato intenso, a volte anche troppo, al punto da sfociare a tratti in una frenesia spasmodica che ha sottratto lucidità in fase di rifinitura e di finalizzazione. La fretta di sbloccare il risultato e condurre il match con minori ansie, ha impedito ai ragazzi di Nicola di conservare la necessaria freddezza mentale in alcuni momenti cruciali dei primi quarantacinque minuti.

Ottimo, ad esempio, è stato il corridoio aperto da Verdi all’arrembante inizio di partita di Enderson, il quale si è inserito con i tempi giusti in area felsinea ma non è riuscito ad addomesticare un pallone che, se fosse stato controllato bene in corsa, sarebbe stato calciato con profitto verso i sette metri difesi da Skorupski. Azione molto simile ha visto protagonisti ancora Verdi e Ribery, con il francese che, servito dall’ex fantasista di Torino e Bologna, è stato bravo ad incunearsi nei sedici metri rossoblù ma non velocissimo nel trovare la conclusione vincente.

Su quest’azione però, stando bene attenti a non scadere in un vittimismo piagnucoloso che non ci appartiene, è sembrato evidente il fallo di un Orsolini in netto ritardo sia rispetto alla sfera, sia rispetto al contenimento dell’ex Bayern. L’ala del Bologna ha allungato il piede per cercare un pallone ormai irraggiungibile, finendo per trasformarsi in un palese intralcio per il fantasista transalpino ormai prossimo a calciare in porta. La dinamica è chiara, ma la Var, quasi mai generosa con la Salernitana nel recente passato, ed il latitante buon senso dei direttori di gara hanno partorito una decisione che lascia tante perplessità.

In un discorso di supremazia tattica da capitalizzare nella prima frazione di partita, è apparsa evidente anche l’assenza di una punta con caratteristiche tecniche diverse da quelle garantite dal pugnace Milan Djuric. All’attaccante bosniaco, imbattibile nel gioco aereo, non puoi chiedere la velocità e la qualità tecnica necessarie per aggredire la profondità che in un paio di frangenti ha strizzato l’occhio alla manovra offensiva dei padroni di casa. Per caratteristiche fisiche, l’ariete slavo tende a non allontanarsi dal lavoro di sponda, anche quando, invece, occorrerebbe fiondarsi nello spazio, attaccare con veloce cattiveria la porta e arrivare al tiro. In questo senso, in attesa di scoprire il bagaglio tecnico di Mikael, di cui si parla un gran bene ma al momento un vero e proprio oggetto misterioso, intravediamo l’unica falla dell’importante progetto tecnico basato sull’instant team messo in piedi da Walter Sabatini.

La difesa, al netto dell’errore che ha fruttato il gol del vantaggio bolognese e di dettagli venuti meno nelle interpretazioni individuali delle fasi di gioco (errori di posizione di un Ranieri spesso inutilmente arrembante, la tendenza a stringere troppo al centro di Mazzocchi sui cambi di gioco del Bologna) ha disputato una buona prova, riuscendo a contenere la qualità e l’incisività del tridente offensivo di mister Mihajlovic.

Più confusionario il secondo tempo, con la squadra generosamente protesa alla ricerca del pareggio, ma troppo poco serena per eseguire pedissequamente le trame collettive richieste dall’allenatore. A farla da padrone è stato l’impeto mai domo e la provvidenziale ed estemporanea giocata imbastita dai neo entrati Mousset e Zortea.

Insomma, speranze di salvezza da mantenere ostinatamente in vita si mescolano ai progressi costanti del gioco e al timore di non avere il tempo di migliorare una classifica che toglie il respiro. Inutile soffermarsi sulla precarietà di partenza ereditata dall’era Lotito. Molto più saggio e produttivo sarà ragionare da volitivi segugi, costantemente protesi alla ricerca di spiragli in grado di regalare la meritata luce ad un encomiabile lavoro che è sotto gli occhi di tutti.

Maurizio Iuliano

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