«No, non da quello. È chiuso. Ci vediamo da quell’altro». Il passaparola funziona. Come dio volle, ci fanno uscire da lì, ché pure quelli che pulivano gli altri settori se ne erano andati.
Ti porta un navigatore saggio e misericordioso. Non fosse per le strade larghe, i monumenti, le luci, se dovessi giudicare solo dai locali aperti penseresti di stare a Pavia, a Gorgonzola. La Milano da bere che ricordavi se l’è mangiata il Covid, la sta prendendo a calci la paura di Putin. Ma lì è aperto, là possiamo andare.
Parcheggia lì. Quella non è cambiata. Ho sempre pensato che la tecnica di parcheggio nel centro di Milano nulla ha da invidiare al profondo sud, solo che lì nessuno dice niente, più o meno.
“Da quell’altro” si chiama come la classifica della Salernitana. Fuori gioco. Dicono. Altrove.
Un solo tavolo grande è di occupazione indigena. Si svuoterà presto, quei ragazzi non fanno tardi. Noi sì. Da quel momento e fino a chiusura definitiva di serranda, è consolato di Salerno in terra meneghina.
I nomi? Cosa contano? E neanche li farei, ché se ci fosse altra occasione non mi farebbero mettere in mezzo a loro, a ragione. Mica vogliono far sapere che c’erano. A che pro? Loro ci sono sempre. Le foto? In tutta la serata non ho visto uno smartphone alzato con la reel camera innescata. Che lo fai a fare un selfie? Per far vedere come vivi e perché respiri?
Sport pub. Significa gagliardetti, magliette, trofei. Significa monitor di ultima generazione accesi ovunque. Bello, eh, giocare l’anticipo di venerdì. Le immagini di due ore prima girano a loop, lo faranno quasi tre volte. Quindici gol a monitor, e il locale ne conteneva sei, non so se mi spiego. Prima ancora del primissimo sorso, Lautaro Martínez lascia una scia nerazzurra sulle pareti, e sembra Trilli Campanellino, accidenti a lui.
Ah, allo stadio c’erano tutti, ma molti il terzo, il quarto ed il quinto, lo vedono sui monitor per la prima volta.
Principessa Mononoke —un mio brother in arm ha deciso che così ti chiami— siamo pronti per ordinare. Il mio angolino sta poggiato vicino al campo da calcio in miniatura. Lo posso toccare, accarezzare. E ci stanno cinque sedie. Quindi i boccali che brindano sono 5. Tre per Lautaro, due per Edin, e porca puttana lo devi dire per forza.
L’occasione di Verdi, sì. L’assetto tattico di Nicola, pure. Ma non più di tanto, eh. È più un disquisire se il Camembert è cosa di friggerlo oppure no, se la salamella è giusto che sia piccante e quanto.
Ma soprattutto, per me, è finestra privilegiata per guardare i nodi di vita di questi ragazzi che si intrecciano e riallacciano.
Di vite partite da Salerno e a Salerno rimaste, o da Salerno partite ed itineranti. Senza furore, da Milano, da Novara, ponte tra una terapia intensiva a Leicester ed un lavoro a Londra che sta per iniziare.
Professionisti da trasferta, esperti di Skyscanner, teorici di un Booking.com particolare, che fa incetta di B&B a Lambrate e simili, economici e forse inutili, ché questa notte finirà all’alba, che alcuni ripartono alle 7 e 30 e che fai, li lasci soli?
Magari è l’imbarcata di San Siro, ma non credo. Sono ragazzi educati ed innamorati. Qualcuno con la ragazza fidelizzata al seguito. Li ho trovati magnifici, e ho capito che in tutto questo tempo, forse, non scrivevo per me solo. Che in questo pub ho trovato i destinatari di tante lettere d’amore.
La multiproprietà ha tolto, derubato, ma non minimamente scalfito. Ché il risultato conta, la retrocessione —dicono, altrove— pure. Ma la tranquillità non urlata di questo amore nessuno la può toccare.
«Potevate dirmelo, che eravate tanti. Avrei chiesto rinforzi in cucina». È quanto dice, al cicchetto, la bionda datrice di lavoro della principessa Mononoke. Torneremo signora, se non prestissimo presto, col nostro tranquillo ed intatto amore.
A via Losanna lo sanno, che noi siamo cosa differente.
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