Storie

La Porta dell’Inferno

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Zemra e njeriut të përsosur është gjithmonë e pezmatuar, por fytyra e tij është kurdoherë e gëzuar.

(Il cuore dell’uomo perfetto è sempre infiammato, ma il suo viso è sempre allegro)


Sami Frashëri

Vede, mademoiselle: non tutti gli uomini sognano allo stesso modo. Alcuni lo fanno di notte, nei polverosi recessi della mente: il risveglio ne rivela la fatuità. Ma i sognatori di giorno: oh, persone pericolose! Possono agire sul loro sogno ad occhi aperti, possono renderlo possibile.

Avvolta dai cristalli di Lalique, circondata da ghirigori e intarsi, Penèlope ascolta rapita la prosa elegante di sir Thomas Edward Lawrence: il sogno ad occhi aperti, nella carrozza ristorante decorata in lacca nera, svanirà all’arrivo. Non può saperlo, ma lo sconosciuto che le ha offerto il pranzo è un ufficiale dei servizi segreti di Sua Maestà la Regina: Costantinopoli sarà per lui soltanto scalo, in un viaggio del destino che condurrà alla Rivolta Araba nella Grande Guerra. Consegnandolo alla storia quale Lawrence d’Arabia.

Due vagoni più in là, nella cabina ch’è più un salotto, giace assorta sul divano a panca Margaretha Zelle: le caviglie sottili s’intrecciano al poggiapiedi, il baule in pelle bottalata s’è scoperchiato sul tavolino, il dorso della spazzola riflette l’argento sul mobile lavandino. Porta a Costantinopoli bellezza oscura e performance sensuale che infrangeranno i costumi del ventesimo secolo. Balla nuda, non nasconde gli amanti ed ostenta la ricchezza. Le circostanze si riveleranno fatali alla ballerina, giustiziata quale spia col nome di Mata Hari.

È il 1905, ed un viaggiatore può imbarcarsi a Parigi raggiungendo Istanbul senza mai abbandonare la cuccetta: eccola, l’annessione turca al mondo occidentale, in quel luogo dell’anima in cui tutto potevi immaginare accadesse ed ancor di più realmente accadeva. Ponte nemmeno troppo ideale tra due universi, nessuno osò definirlo un treno: si consegna ad imperitura memoria come Orient Express.

Come Lawrence e Margaretha, chiunque ne sbarcasse si sarebbe diretto a Pera: quartiere chic, le cui ancestrali influenze genovesi avevano nei secoli ribattezzato Galata. Di pomeriggio, tutt’intorno erano matinée musicali: col buio incalzava ogni genere di bizzarria. Giusto in mezzo, il sultano Abdulaziz -stordito dalla Parigi dell’Expo 1867- trasforma il Saray della vecchia scuola ottomana nel Liceo Imperiale di Stampo Francese, che avrebbe ispirato tutte quante le riforme degli anni a venire. Eccolo, il teatro della vicenda.

Ali è il figliolo di Sami Frashëri, figura che ha realmente delineato i contorni della storia e della cultura dell’Albania per come la conosciamo oggi. Il ragazzo studia al Liceo di Galata -dove sennò…- e diventa uomo in una Istanbul ogni giorno più cosmopolita.

Le acque limpide del Bosforo si affollano di vascelli inglesi: il mosaico illuminato dal sole, che riveste d’oro cupole e minareti, si arricchisce di un nuovo, esotico elemento. Il Football.

Il giovane Ali, fronte alta e mente acuta, intuisce alla svelta la portata del fenomeno. In qualsiasi punto del mappamondo vi troviate, c’è solo una cosa che ad un giovane dia maggior soddisfazione di una partita di calcio: sono certo non occorra vi spieghi quale. Sebbene le Autorità Ottomane guardino di sbieco quel cimento animalesco in calzoncini, la gioventù liceale s’incuriosisce, vi si applica, s’appassiona. Le paranoie dall’Impero proibiscono di giocare dentro e fuori dal Liceo: ai giovani studenti è vietato riunirsi per lo sport. Ciononostante, Ali Sami si pone al capo della combriccola che continua a praticare segretamente il Gioco, rischiando finanche prigione ed esilio.

La faccenda si fa seria un pomeriggio al Gran Bazar: immerso senza meta nel turbinio di colori e profumi, Ali sbatte nei tessuti di Fat Yanko. Una lana giallarancio si sovrappone al rosso ciliegia d’un qualche drappo pregiato. La visione è folgorante: la squadra avrebbe avuto la leggiadria del cardellino e la potenza distruttrice del fuoco. E fu. Provarono a chiamarla Gloria e pure Audace, la verità è che sei Squadra di Calcio solo se hai una tifoseria. E quando i ragazzi fecero il loro esordio, la Voce del Popolo li definì i Maestri del Palazzo Galata: pronunciato nella loro lingua, fu per sempre Galatasaray.

Il nostro obiettivo è quello di giocare collettivamente come gli Inglesi, avere un colore ed un nome, battendo squadre non turche”.

Le parole di Ali, grondanti l’orgoglio che solo se hai fatto il tifo per la Squadra Tua puoi comprendere, divennero il motto della compagine che, da quel giorno, non ha smesso di infiammare il Bosforo. Padre spirituale del sodalizio, Ali Sami cambiò finanche il cognome in Yen. Verbo che, da quelle parti, indica la sola ragione per la quale valga la pena vivere e morire su di un campo di calcio: Vincere. A distanza di circa un secolo, la profezia si sarebbe avverata: nel 2000 il Galatasaray è Campione d’Europa.

La Storia non potè che fare il suo corso: a lui fu intitolata la casa del Galatasaray. Fino a tutto il 2011, l’Ali Sami Yen ha rappresentato, non solo per Besiktas e Fenerbache, il catino più ribollente dove affondare i tacchetti. Teatro di rimonte impossibili ed imprese clamorose, omologato per ventiduemila posti non ha mai ospitato meno di trentamila anime. Nessuna delle quali ha mai visto una partita seduto.

Qualcuno, non senza puzza sotto al naso, ha definito l’Ali Sami Yen la Porta dell’Inferno: per chiunque veneri Eupalla, l’unico posto più bello del Paradiso.

Ciro Romano

Tifoso della Salernitana e del calcio. Che ama raccontare con spensieratezza.

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